Carlotta? Maria? Ma c’era una signora “Garbatella”?

In principio il nome era “Colli di San Paolo”, poi nel 1920 fu proposto “Concordia” e negli anni ’30 “Remuria”, la città di Remo

Carlotta? Maria? Ma c’era una signora “Garbatella”?

di Cosmo Barbato

Garbatella, dolce nome per la borgata-giardino, quale fu progettata dagli architetti Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini tra il primo e il secondo decennio del secolo scorso per “offrire quieta e sana stanza agli artefici del rinascimento economico della capitale”, come si legge nell’epigrafe di fondazione posta il 18 febbraio 1920 in Piazza Benedetto Brin. Il riferimento agli “artefici del rinascimento economico” alludeva agli operai della zona industriale che andava sviluppandosi lungo l’asse della sottostante Via Ostiense e, in prospettiva, agli operatori di un canale navigabile, progettato ma poi non realizzato, …..

In principio il nome era “Colli di San Paolo”, poi nel 1920 fu proposto “Concordia” e negli anni ’30 “Remuria”, la città di Remo

Carlotta? Maria? Ma c’era una signora “Garbatella”?

di Cosmo Barbato

Garbatella, dolce nome per la borgata-giardino, quale fu progettata dagli architetti Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini tra il primo e il secondo decennio del secolo scorso per “offrire quieta e sana stanza agli artefici del rinascimento economico della capitale”, come si legge nell’epigrafe di fondazione posta il 18 febbraio 1920 in Piazza Benedetto Brin.
Il riferimento agli “artefici del rinascimento economico” alludeva agli operai della zona industriale che andava sviluppandosi lungo l’asse della sottostante Via Ostiense e, in prospettiva, agli operatori di un canale navigabile, progettato ma poi non realizzato, che avrebbe dovuto unire Ostia con un porto previsto a valle della Basilica di San Paolo. Non a caso sulla pietra di fondazione viene citato, come primo committente della borgata, l’Ente autonomo per lo sviluppo marittimo e industriale e, in seconda istanza, l’Istituto delle case popolari. Nell’epigrafe però il nome Garbatella non appare, anche se la tradizione vuole che la zona già da tempo fosse nota con quell’appellativo. E non appare nemmeno nella contemporanea cartografia ufficiale né in quella antica e nemmeno se ne trova traccia negli strumenti relativi alle compra-vendite dei terreni, pur se spesso i notai, nel redigere gli atti, fanno riferimento ai toponimi popolari per meglio individuare le località.
In realtà tutta la zona a sinistra della Via Ostiense a ridosso della Basilica di San Paolo aveva già un nome ufficiale che si tramandava da secoli e che regolarmente appariva nella cartografia: tale nome era Colli di San Paolo, appellativo che derivava anche da fatto che la Basilica Ostiense ne era il massimo proprietario.
I Colli di San Paolo partivano da quello sperone di tufo che incombe sulla Via Ostiense alle spalle della Basilica, noto come Roccia di San Paolo; proseguivano con il colle che vide nel 1920 la fondazione della nostra borgata; continuavano con tutta una serie di piccoli rilievi che avevano e hanno sulla sommità edifici di una certa importanza: la Vigna Pozzi nell’omonima via, la Villetta di Via Passino, la villa del ‘500 oggi Scuola dei bimbi di Piazza Longobardi, la ex Villa Armellini di Via delle Sette Chiese, la “chiesoletta” dei Santi Isidoro e Eurosia; proseguivano poi con il colle più alto, quello che ospita alla sua base l’Università San Pio V e in cima il seicentesco casale Santambrogio già Nicolai; si concludevano con la collina che serba nel suo seno la Catacomba di Domitilla e in cima la Tor Marancia.. Come si vede, tutte queste emergenze si snodano lungo la Via delle Sette Chiese, importante antica strada di crinale, caratteristica degli assi viari arcaici che seguivano percorsi elevati onde evitare le insidie dei fondovalle insicuri perché periodicamente paludosi.
L’appellativo Colli di San Paolo, come è evidente, poco si adattava alla denominazione di un nuovo insediamento abitativo che era destinato ad occupare solo una parte di quel territorio. Nel contempo si pensò di denominare la nuova borgata con un appellativo che contenesse anche un messaggio in positivo.
In quei travagliati anni del dopoguerra i contrasti sociali si presentavano particolarmente aspri e destavano gravi preoccupazioni in una borghesia che si accingeva ad imboccare la strada autoritaria del fascismo. Per una borgata destinata a un insediamento operaio fu così proposto il nome di Concordia, come auspicio di pace sociale e di demagogica collaborazione tra le classi. Quel nome conteneva anche un richiamo classico: nell’antica Roma, dopo la fine delle lunghe lotte tra patrizi e plebei, la Concordia, intesa come una dea benefica, fu celebrata nel 367 a.C. dedicandole un tempio alle pendici del Campidoglio di fronte al Foro; La fontana di’Carlotta’,uno dei posti più cartteristici della Garbatella molto più tardi, alla fine del primo secolo a.C., Augusto ne ravvivò il culto per esaltare la pace civile raggiunta dopo la sconfitta di Antonio e Tiberio ne ricostruì il tempio in forme suntuose. Ma la proposta di richiamare ai tempi nostri quel nome restò in sospeso, anche se non fu definitivamente scartata, sembrando piuttosto arduo contrastare al momento la denominazione popolare di Garbatella. Del nome di Concordia in realtà poi non si parlò più: lo ha rievocato qualche anno fa un istituto di cura che ha ribattezzato con quel nome la clinica già nota come Villa Letizia di Via delle Sette Chiese.
La Garbatella però, malgrado il nome gentile, non godeva di buona stampa. Come anche altre borgate che andavano costellando il nucleo della città, si portava dietro un marchio di diffidenza verso quel sottoproletariato urbano che vi era stato aggregato, a seguito della progressiva espulsione dai quartieri centrali delle fasce più misere della popolazione. A queste si andavano unendo masse di indigenti provenienti dalle province, giunte a seguito di quel processo di inurbamento iniziato dopo la creazione di Roma capitale. C’è di più: l’appellativo Garbatella, secondo alcuni attribuibile all’amenità dei luoghi ricchi di acque e di vegetazione, da molti veniva riferito alla presenza nella zona di un personaggio chiacchierato, una garbata e compiacente ostessa che in qualche tempo e in qualche angolo non definiti aveva gestito un’osteria con camere, allettante richiamo per i cacciatori e per i rari viandanti che frequentavano la zona, nonché utile ingenuo posto di ristoro per i pellegrini che percorrevano la Via della Sette Chiese. Più tardi a quell’ipotetica garbata ostessa fu attribuito anche un nome di fantasia, Carlotta, personaggio che si è voluto vedere ritratto in quel volto femminile, oggi piuttosto sconciato, che versa acqua nella scenografica fontana posta ai margini della centrale Via Roberto De Nobili. Recentemente Gianni Rivolta, autore del bel volume “Garbatella mia”, accettando implicitamente la tesi dell’origine plebeo di quel nome, attribuisce alla nostra ostessa il nome di Maria e propone che quell’ospitale osteria, oggi non più esistente, fosse collocata alle spalle della Roccia di San Paolo, all’incrocio di Via delle Sette Chiese con Viale Leonardo da Vinci o con Via Alessandro Cialdi. L’edificio potrebbe essere raffigurato in un olio su tela del pittore Edoardo Ferretti, dove si vede, ai piedi di una fronzuta collina, un fabbricato di una certa consistenza che reca sulla porta un cartello con la scritta “Da Maria”. L’attribuzione a un’origine così plebea del nome Garbatella fece torcere il naso a molti benpensanti. Rievocava inoltre il ricordo dell’estrazione popolare dei suoi abitanti. Furono particolarmente infastiditi, negli anni del fascismo, i gerarchi del regime protesi a esaltare i destini fatali di Roma. Zelanti funzionari addetti alla toponomastica andarono così a riesumare miti dimenticati e controversi che attribuivano ai Colli di San Paolo titoli aristocratici risalenti addirittura alla stessa leggendaria fondazione della città. “Non vi è in Roma chi non veda come l’errata denominazione di qualche quartiere crei antipatia per luoghi infamati dai movimenti sovversivi dei tempi che furono”, scriveva il quotidiano “Il lavoro fascista” il 24 gennaio 1934. L’argomento, non risolto, tornava d’attualità qualche anno dopo: se ne faceva portavoce “Il Piccolo” il 31 maggio del 1939. La Garbatella poi era particolarmente coinvolta in questa ondata purificatrice, visto che, oltre a evocare “antipatia per i movimenti sovversivi dei tempi che furono”, tramandava perfino il nome di una signora cui si attribuivano facili costumi: era intollerabile! Così, per la borgata fondata nel 1920 e rimasta senza una denominazione ufficiale, fu proposto il nome di Remuria.
L’osteria ‘da Maria’, situata forse alle spalle della roccia di San Paolo :l’immagine appare in un quadro di fine ottocento del pittore Edoardo Ferretti ( da ‘Garbatella mia’ di G. Rivolta ed E. Gori, Ed. La Campanella Remuria, secondo uno dei miti di fondazione, si sarebbe dovuta chiamare la città che avrebbe voluto fondare Remo, in contrapposizione quindi alla Roma di Romolo. Remo avrebbe voluto la sua città sull’Aventino, il colle dal quale aveva preso gli auspici dal volo degli uccelli; Romolo, a sua volta, aveva raccolto auspici più favorevoli dal suo osservatorio sul Palatino. Prevalse Romolo e Remo, per invidia, profanò il solco tracciato dal fratello per segnare il pomerio. Mal gliene incolse, perché ci rimise la pelle. Dunque era l’Aventino che avrebbe dovuto ospitare Remuria: che c’entravano quindi i Colli di San Paolo? Per la verità c’è un mito “apocrifo” che avrebbe indicato le colline a sud della Valle del fiume Almone, affluente di sinistra del Tevere, come il sito prescelto da Remo: la Garbatella, dunque, come una specie di un ottavo colle di Roma, ma con un nome più aristocratico, più dignitoso per una città che si apprestava a rivivere le glorie dell’impero. Scalzare però il toponimo popolare ormai radicato di Garbatella apparve impresa destinata al fallimento. La proposta fu tacitamente accantonata, forse anche perché a qualcuno era rimasto un briciolo di buon senso. Poi con la guerra si pensò a ben altro e da allora siamo rimasti a chiederci, senza risposta, se il nome che portiamo alluda all’amenità dei luoghi oppure derivi dal nomignolo di una garbata ostessa che una volta gestiva da queste parti un’ospitale osteria con camere. Dulcis in fundo, si è anche avanzata un’altra ipotesi molto suggestiva. Pare che in zona si coltivasse un vitigno che produceva un’uva pregiata e un ottimo vino, simile al Cacchione di Nettuno. Quest’uva sarebbe stata chiamata Garbatella. Non abbiamo elementi per avallare tale ipotesi, che tuttavia può apparire verosimile. La zona infatti non era vocata solo a pascolo brado, come generalmente si ritiene, ma era anche ricca di ville rustiche, di casali patrizi e di tenute ben coltivate: citiamo il grande “arboreto” Nicolai dai 12 cancelli, la cinquecentesca Villa Sergardi (oggi Scuola dei bimbi), la Villa Serafini, la Villa Pozzi, la Villa Armellini, la Villa Scellingo, l’immensa tenuta di Tor Marancia. Notare che nella cartografia antica la Tor Marancia è indicata spesso col nome di Tor delle Vigne. E possibile che il nome Garbatella sia passato dall’uva al vino, da questo a un’osteria (quella della gentile ostessa forse di nome Maria) e infine dall’osteria a quest’angolo della campagna romana? Può darsi. Vorrebbe dire che sarebbe stata l’uva Garbatella a tramandarci il nome.

 

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 2 – Febbraio 2005

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