Quel 18 febbraio 1920 nasceva il quartiere giardino

Speciale

Quel 18 febbraio 1920 nasceva il quartiere giardino

di Cosmo Barbato

Un inizio di settimana freddo ma limpido e assolato, quel 18 febbraio 1920. Nei giorni precedenti gruppi di operai avevano frettolosamente spianato e livellato il largo che sarebbe diventato più tardi la Piazza Benedetto Brin, per accogliere le carrozze e le auto degli invitati a una solenne cerimonia. Altri operai avevano allestito un grosso palco di legno ricoperto con teli di velluto color cremisi orlati d’oro e, al suo fianco, un paranco che recava in sospensione un parallelepipedo di marmo, pronto per essere depositato su un muretto appena rialzato, la base dello stipite di un arco. La cerimonia era prevista per le 11. Si trattava della posa della prima pietra di un nuovo insediamento abitativo, una borgata operaia staccata dal resto della città, che occuperà i primi Colli di San Paolo lungo l’asse di Via delle Sette Chiese, l’antica strada romana che dalla Basilica Ostiense conduce a quella di San Sebastiano sull’Appia Antica, già famosa come percorso penitenziale tra le sette maggiori basiliche romane istituito alla fine del ‘500 da San Filippo Neri.

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Quel 18 febbraio 1920 nasceva il quartiere giardino

di Cosmo Barbato

Un inizio di settimana freddo ma limpido e assolato, quel 18 febbraio 1920. Nei giorni precedenti gruppi di operai avevano frettolosamente spianato e livellato il largo che sarebbe diventato più tardi la Piazza Benedetto Brin, per accogliere le carrozze e le auto degli invitati a una solenne cerimonia. Altri operai avevano allestito un grosso palco di legno ricoperto con teli di velluto color cremisi orlati d’oro e, al suo fianco, un paranco che recava in sospensione un parallelepipedo di marmo, pronto per essere depositato su un muretto appena rialzato, la base dello stipite di un arco. La cerimonia era prevista per le 11. Si trattava della posa della prima pietra di un nuovo insediamento abitativo, una borgata operaia staccata dal resto della città, che occuperà i primi Colli di San Paolo lungo l’asse di Via delle Sette Chiese, l’antica strada romana che dalla Basilica Ostiense conduce a quella di San Sebastiano sull’Appia Antica, già famosa come percorso penitenziale tra le sette maggiori basiliche romane istituito alla fine del ‘500 da San Filippo Neri.
Alle 10,30 si forma un corteo di macchine, di carrozze e, a piedi, di signori in abito da cerimonia e di signore imbacuccate nelle loro pellicce, che arrivano risalendo il tratto di Via delle Sette Chiese dalla Via Ostiense (unico accesso allora dalla città ai Colli di San Paolo). Alle 11 in punto giunge, accolto dalle note della marcia reale intonata da una fanfara, sua maestà il re Vittorio Emanuele III, a bordo di una lunga auto, accomgen.Cittadini.
Ad accoglierlo una moltitudine di personalità. Innanzitutto, l’ing.Paolo Orlando, presidente dello SMIR (l’Ente per lo sviluppo marittimo e industriale di Roma), che in quel giorno vede realizzarsi una parte importante del programma a cui egli si è dedicato fin dal 1909: creare un porto fluviale subito a valle della Basilica di San Paolo collegato a un canale navigabile parallelo al Tevere che congiunga il mare di Ostia con l’area industriale Ostiense. La nascita del nuovo insediamento infatti contribuisce a creare indispensabili infrastrutture: la borgata è destinata a dare alloggio, oltre che agli operai della sottostante recente zona industriale, anche agli operatori del porto, il quale però non vedrà mai la luce (il progetto, pur elaborato nei dettagli, verrà definitivamente scartato due anni dopo, giudicato troppo costoso per le deboli finanze postbelliche e inopportuno per altre considerazioni).
Dopo i discorsi di cerimonia, viene calata col paranco la prima pietra, che il re alletta con la rituale cucchiaiata di malta posata con la cazzuola. Al suo interno era stata posata una pergamena per ricordare l’evento, firmata dal re e dalle altre personalità convenute. L’epigrafe dice: Per la mano augusta di S.M. il Re Vittorio Emanuele III l’Ente autonomo per lo sviluppo marittimo e industriale e l’Istituto delle Case popolari di Roma con la collaborazione delle Cooperative di lavoro ad offrire quieta e sana stanza agli artefici del rinascimeto economico della Capitale questo aprico quartiere fondato oggi XVIII Febbraio MCMXX In considerazione dei torbidi movimenti politici in atto in Italia e a Roma in quel periodo, presenziano la cerimonia una folto numero di carabinieri e di agenti, molti di questi ultimi in borghese (siamo negli anni del dopoguerra con la disoccupazione dilagante e le fabbriche occupate).
Al re viene illustrata la pianta del primo insediamento progettato dagli architetti Marcello Piacentini e Gustavo Giovannoni: una piccola  città-giardino comprendente cinque lotti per un totale di 190 alloggi sistemati in 44 unità abitative, destinate a occupare una superficie di poco più di trentacinque ettari (il resto del quartiere si svilupperà in tempi successivi).
Seguono vari discorsi: il ministro dei Lavori pubblici Edoardo Pantano, il presidente delle Case popolari Vincenzo Magaldi, l’archeologo Rodolfo Lanciani a nome del sindaco Apolloni. Il palco è affollato di personalità: le più in vista sono almeno trenta, tra politici, militari, capitani d’industria e banchieri. Nell’epigrafe non si fa alcun cenno al nome del nuovo insediamento: segno che sull’argomento c’erano perplessità. Si sa tuttavia che avrebbe dovuto chiamarsi Concordia, come annota nel suo diario lo stesso ingegner Orlando, “in contrasto al presente marasma sociale e per l’auspicio all’avvenire felice”. Ma quel tratto dei Colli di San Paolo è già popolarmente indicato col nome di Garbatella, di incerta origine. Si è detto che potrebbe riferirsi a una particolare coltivazione della vite “a garbata” praticata in una grande tenuta che aveva occupato parte della zona, di proprietà di un potente monsignore, Nicolò Maria Nicolai. Più credibile è l’ipotesi che, lungo la prima parte della Via delle Sette Chiese o nelle sue adiacenze, una garbata e compiacente ostessa gestisse un’osteria con alloggio, destinata ai pellegrini, ai cacciatori e a chi si volesse procurare in una località fuori mano incontri galanti. In tempi recenti di questa signora Garbatella è stato ipotizzato anche il nome e della sua osteria anche una possibile localizzazioni. Si sarebbe chiamata Maria, stando all’insegna di un locale, ritratto in un olio dell’Ottocento, che pare localizzato alle spalle della cosiddetta rupe di San Paolo. Più probabile si chiamasse Clementina, stando alle ricerche effettuate dalla Terza Università nei  “registri delle anime” di San Paolo dei primi decenni dell’Ottocento: Clementina Eusebi vedova di Giambattista Cascapera che nel 1841 subentrò con i figli nella gestione sulla Via Ostiense, sotto la collina del nuovo insediamento, di un locale a quel tempo noto come Osteria della Garbatella. Ma si trattava di un toponimo già esistente o del soprannome che si era conquistato l’ospitale ostessa?
Comunque sia, quel nome popolare, dal sapore plebeo, prevalse su quello di Concordia. Né riuscì a scalzarlo quello di Remuria, suggerito nel 1937 dalla smania retorica della toponomastica fascista di nobilitare i nomi di alcuni quartieri romani, attingendo nel nostro caso a una leggenda che localizzerebbe sulle colline a sud dell’Aventino piuttosto che proprio sull’Aventino la città che Remo avrebbe voluto fondare in contrapposizione alla Roma di Romolo sul Palatino.
Alle 11,45 di quel 18 febbraio 1920 la cerimonia era conclusa (le cronache della stampa dell’epoca stranamente anticipano tutto di un’ora). Da quel giorno la costruzione dei 44 edifici dei primi lotti della nuova borgata procedette rapidamente e negli anni successivi si estese progressivamente a tutto il territorio collinare retrostante, in seguito invadendo anche la valle del fiume Almone, la zona della Circonvallazione Ostiense confinante con l’Aventino, congiungendosi quindi alla città.
Quei primi cinque lotti del quartiere, portati ad esempio nella letteratura specializzata di un’urbanistica e di un’architettura avanzatissime sul piano sia estetico che funzionale, furono oggetto nel 1960 di un vile tentativo di speculazione da parte dell’Istituto case popolari in accordo col Banco di Santo Spirito, per la costruzione di villette a favore dei dirigenti bancari. Di conseguenza furono abbattuti due lotti e mezzo, trasferendo i residenti in squallidi palazzoni di nuova costruzione in lontane periferie. La decisa reazione del quartiere tentò di fermare il piccone, ma soprattutto fu l’intervento degli antichi proprietari, che avevano donato quel suolo per l’edificazione di case popolari, a bloccare la speculazione.
Dopo di che, per trent’anni le aree abbattute restarono abbandonate al più assoluto degrado. Poi nel 1990 le amministrazioni democratiche le trasformarono in giardini e più tardi, una parte, in un comodo parcheggio. Della originaria vocazione marinara del quartiere rimane testimonianza in buona parte della toponomastica, ispirata da quei propugnatori del porto fluviale che poi non fu realizzato: strade e piazze sono infatti intitolate a navigatori, costruttori navali, cartografi, scrittori del mare, armatori, capitani d’industria cantieristica. A cominciare dalla bella scenografica piazza da cui ebbe inizio il quartiere e dove è murata la pietra di fondazione: Piazza Benedetto Brin, dedicata al primo ministro della marina del Regno d’Italia, ingegnere, costruttore delle corazzate Duilio e Italia.

 

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 7 – Febbraio 2010

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