Nella Catacomba di Domitilla di Via delle Sette Chiese
Petronilla, figlia di San Pietro? Storia di un clamoroso “bidone”
Una santa inesistente dal nome prestigioso. Nell’8° secolo fu offerta come patrona al Regno dei Franchi, a sua volta nominato “Figlio prediletto della Chiesa”
di Cosmo Barbato
Questa è la storia di un colossale “bidone”, di una storica “sòla”, come dicono a Roma, che in un lontano passato prese le mosse in uno dei luoghi più importanti che si svolgono lungo la Via delle Sette Chiese, l’antica strada che costituisce la colonna dorsale della Garbatella. Il luogo è la Catacomba di Domitilla, la più estesa di Roma con i suoi 15 chilometri di gallerie che si sviluppano su cinque piani. …..
Nella Catacomba di Domitilla di Via delle Sette Chiese
Petronilla, figlia di San Pietro? Storia di un clamoroso “bidone”
Una santa inesistente dal nome prestigioso. Nell’8° secolo fu offerta come patrona al Regno dei Franchi, a sua volta nominato “Figlio prediletto della Chiesa”
di Cosmo Barbato
Questa è la storia di un colossale “bidone”, di una storica “sòla”, come dicono a Roma, che in un lontano passato prese le mosse in uno dei luoghi più importanti che si svolgono lungo la Via delle Sette Chiese, l’antica strada che costituisce la colonna dorsale della Garbatella. Il luogo è la Catacomba di Domitilla, la più estesa di Roma con i suoi 15 chilometri di gallerie che si sviluppano su cinque piani.
In un andito di quel cimitero sotterraneo datato tra il III e il IV secolo i fedeli notarono un semplice sarcofago marmoreo che recava una dedica: “A Petronilla figlia dolcissima”.
Petronilla, cioè figlia di un Pietro. L’eccesso di zelo dei credenti e probabilmente una non del tutto disinteressata caccia alle reliquie dei cristiani della prima ora portarono a concludere che quella Petronilla fosse proprio una figlia di San Pietro. Chi sa, poteva essere stato lo stesso padre a scolpire quella pietosa epigrafe. Ma una figlia di Pietro non poteva che essere martire, come il padre. E come martire venne venerata, pur apparendo assai improbabile che un settore del III o IV secolo del cimitero di Domitilla potesse mai aver accolto le spoglie di una figlia di Pietro che, se mai fosse esistita, doveva essere morta almeno duecento anni prima. Poteva però esserci stata una traslazione, ma di questa sarebbe rimasta memoria.
Per inciso, è possibile che San Pietro avesse una figlia, dal momento che il pescatore di Galilea, quando abbandonò le reti per seguire il Maestro, era regolarmente sposato.
In un testo copto del II secolo relativo agli Atti di San Pietro si parla appunto di una sua figlia. Si dice anche che fosse paralitica. Pietro, che guariva tutti, non volle esercitare il suo potere taumaturgico sulla figlia.
Supplicato dalla folla, si decise infine a guarirla, facendola però tornare paralitica subito dopo, spiegando che la malattia era salutare per la salvezza della sua anima. Non è detto come quella figlia si chiamasse; né sembra possibile che, data la sua menomazione, abbia potuto seguire il padre a Roma. Sta di fatto che il culto di Petronilla ebbe, dal IV secolo, una grande diffusione, certamente non contestato dalla Chiesa.
Se ne parla in numerosi testi. Sappiamo che l’olio della lampada che ardeva sul suo sepolcro fu recato come reliquia alla regina longobarda Teodolinda al tempo di Gregorio Magno (590-604).
Ma la fortuna di Petronilla arriverà più tardi.
Siamo al tempo di papa Stefano II (752-757). Il Soglio di Pietro è oggetto di furibonde contese, mentre la Penisola è sconvolta dallo scontro tra i Franchi di re Pipino e i Longobardi di Astolfo. Pipino, chiamato dalla Chiesa, contrastava Astolfo che voleva estendere il Regno longobardo d’Italia sui territori peninsulari appartenenti all’Impero di Bisanzio, ai quali però era interessata anche la Chiesa. A sua volta, Pipino aspirava al sostegno della Chiesa per riaffermare in Francia il suo potere.
Stefano voleva quei territori, ma non si fidava troppo di Pipino: li voleva non come un dono (chi ha il potere di dare ha anche quello di togliere) ma come una restituzione rispetto a una precedente presunta autorevole donazione.
Quasi certamente prende corpo allora anche la celebre “Donazione di Costantino”, l’editto col quale l’imperatore romano avrebbe investito la Chiesa del potere sulla parte occidentale dell’impero e quindi sull’Italia. Per secoli quel presunto diritto sarà causa di guerre, di sopraffazioni, di lutti infiniti, anche dopo che alla metà del 1400 l’umanista Lorenzo Valla dimostrerà la falsità dell’editto.
Pipino dunque asseconda le ambizioni di Stefano e riceve in cambio la solenne unzione regale, per sé e anche per i suoi figli Carlo (Magno) e Carlomanno, nonché la dichiarazione, per il Regno Franco, di “Figlio prediletto della Chiesa”.
Ma Santa Petronilla che cosa c’entra? Petronilla figlia del fondatore della Chiesa e il Regno Franco “Figlio prediletto della Chiesa”: chiaro, Petronilla, dichiarata patrona del Regno Franco, doveva costituire la perenne testimonianza di quell’alleanza.
Stefano promette ma sarà suo fratello Paolo I, eletto papa tra aspri contrasti nel 757, a mantenere. L’8 ottobre di quell’anno, nel corso di una solenne cerimonia pubblica cui partecipò tutto il clero, il sarcofago di Petronilla venne rimosso dalla catacomba di Domitilla, traslato in Vaticano ed elevato alla gloria degli
altari in un grande preesistente mausoleo imperiale adiacente alla Basilica di San Pietro, riciclato per l’occasione. Da quel giorno il sepolcro degli imperatori Onorio, Teodosio II, forse Valentiniano III e di molti membri delle famiglie imperiali diverrà cappella dei re dei Franchi (e più tardi di Francia) o cappella di Santa Petronilla.
L’alleanza, quasi un parentato, veniva così sancita al cospetto del popolo. Può darsi che a quel tempo gli stessi papi avessero finito col credere che Petronilla fosse stata davvero figlia di San Pietro. Però, considerando che quel patronato così speciale veniva elargito dai due fratelli pontefici, già probabili coautori o committenti del più clamoroso falso della storia, la “Donazione di Costantino”, è lecito sospettare che a Pipino abbiano scientemente rifilato quel “bidone”. Ed è pur anche lecito sospettare che Pipino, tanto interessato alla prestigiosa investitura della Chiesa, non fosse poi così attento all’autenticità della reliquia. Forse in
quella circostanza non fu nemmeno necessario esibire il falso documento costantiniano: diligentemente custodito, servirà molto più tardi per accampare i diritti della Chiesa nei confronti degli imperatori.
La grande cappella di Santa Petronilla da allora fu arricchita di doni preziosi. Ospitò tra l’altro la statua bronzea di San Pietro e, agli inizi del 1500, anche la Pietà di Michelangelo. Poi però, con la costruzione della attuale basilica, anche la cappella imperiale finì sotto il piccone. I resti di Petronilla furono tolti dal sarcofago e posti in un’urna che dal 1623 è custodita nella nuova basilica, sotto un altare sovrastato da un mosaico che riproduce la grande tela del Guercino intitolata “Esumazione e gloria di Santa Petronilla”, a sua volta conservata nella Pinacoteca Capitolina.
Il sarcofago di Petronilla, ormai svuotato, fece una brutta fine. Capovolto, fu utilizzato come materiale di colmata nella Cappella del Sacramento. Recava la seguente epigrafe: “Avr Petronillae Filiae Dulcissimae”. E’ stata letta “Ad Aurelia (o Aurea) Petronilla Figlia Dolcissima”. Dunque poteva trattarsi di una discendente della famiglia dei Petroni o di una devota, figlia spirituale e non carnale dell’Apostolo, morta Dio sa quando, ma certo non ai tempi di San Pietro.
Petronilla è stato un nome molto usato fino ad un recente passato. Da noi è caduto in disuso da qualche anno, mentre si ritrova ancora di frequente in ambito anglosassone. Ai più anziani rievoca la figura dell’arcigna e spigolosa moglie del mite Arcibaldo di un celebre fumetto, oggi non più in voga.
Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 3 – Marzo 2006





