CONTESTATA L’AFFERMAZIONE DELLO SCRITTORE PENNAC

Garbatella come Belleville? Ma mi faccia il piacere!

di enrico RECCHI

Per molti italiani, me compreso, Belleville, il quartiere alternativo di Parigi che ha dato i natali a Edith Piaf, è venuto alla ribalta con i romanzi dello scrittore francese Daniel Pennac. E’ proprio il quartiere multietnico di Parigi lo sfondo privilegiato della famiglia Malaussene protagonista delle sue storie. Pennac lo aveva descritto come una borgata popolare, vivace, storica, piena di colori insomma con una atmosfera particolare, “proprio come la Garbatella a Roma”, qualcuno aveva suggerito.
“Le strade di Belleville come quelle della Garbatella” oppure “L’atmosfera della Garbatella si può ritrovare anche a Parigi passeggiando per Belleville”. Erano queste le frasi che mi gironzolavano per la testa quando stavo organizzando con mia moglie un breve soggiorno a Parigi. Sono stato diverse volte nella capitale francese, che ho girato in lungo e largo, ma non sono mai andato a Belleville o meglio non ne avevo mai sentito l’urgenza.
L’ultima volta invece, dopo aver instillato questa curiosità anche in mia moglie Rossana, la visita al “quartiere cool” situato, dopo Monmartre, sul colle più alto della capitale francese, era diventata un passaggio obbligato. Cos’è che rende due cose simili? Innanzitutto l’aspetto fisico, le dimensioni, le forme, i colori. Poi il profumo, l’atmosfera.
Nel caso di un quartiere cittadino la gente, le voci, i passanti, i bambini, gli edifici. La Storia. Non sto qui a dirvi cosa si può trovare alla Garbatella.

scorci di Belleville a Parigi

Vi dirò invece cosa ho visto a Belleville e cosa non c’è. Non ci sono le stradine silenziose con i pini maestosi che si possono vedere alla Garbatella. Non ci sono le costruzioni d’epoca ovvero i villini popolari costruiti dagli architetti italiani degli anni ’20 e
’30, che tanto lustro danno al nostro quartiere. Belleville è fatta da edifici moderni, alti 5/6 piani, anonimi, indifferenti alle persone che vi abitano e che percorrono quelle strade. Qua è là, tra negozietti, bar, birrerie e ristoranti cinesi quel poco che resta di palazzine costruite a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
Ogni tanto alcuni murales decorano facciate, altrimenti destinate a restare anonime e invisibili. La Garbatella è aperta, accogliente, ancora a misura d’uomo, poco tecnologica. Ed è proprio la sua struttura architettonica a renderla tale. Alla Garbatella si possono attraversare i cortili, fermarsi a leggere il giornale seduti su un muretto interno o accanto ad uno stenditoio comune. Entrare nei cortili è impossibile a Belleville perché l’accesso a tutti gli edifici è protetto dai codici digitali ai
portoni.
Si vedono in giro diversi cantieri. Si sta costruendo molto e edificare significa abbattere il vecchio, distruggere il passato, modificare il tessuto di un quartiere e in qualche caso cancellare la storia di molte persone.
E’ diversa anche l’atmosfera. Il pomeriggio da noi si vedono gruppetti di anzian,i che con la loro seggioletta si radunano ancora all’ombra nei cortili a fare due chiacchere, a discutere di sport e di politica. Succede anche a Belleville, uno dei quartieri più appetibili dai giovani francesi? Chissà?
A Belleville, dove ho camminato per due giorni, non ho visto questa partecipazione né ho avuto la sensazione di passeggiare in
una comunità.
Belleville, inoltre, è un quartiere multietnico, con i negozi di cibi tipici delle comunità straniere che lo abitano, magrebini, russi e cinesi. E anche questo aspetto è assente alla Garbatella.
Certo due giorni non sono sufficienti per dire di conoscere un quartiere, ma perlomeno questa è l’impressione che io e mia moglie abbiamo riportato. Una volta che ho definitivamente distrutto questo “incubo” della similitudine, che ho acclarato l’unicità della Garbatella e l’impossibilità che le sue caratteristiche fossero state replicate altrove, ho iniziato a guardare Belleville con altri occhi e ho iniziato a girovagare piacevolmente per le sue strade.

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