A Ennio Mariani la Medaglia d’onore concessa ai deportati nei campi nazisti

Una appassionata lettera dei figli, a vent’anni dalla morte del padre

A Ennio Mariani la Medaglia d’onore concessa ai deportati nei campi nazisti

Fu per lunghi anni il custode della sezione comunista di Via Passino. La Villetta fu la casa della sua passione politica e anche della sua famiglia

L’esigenza di ricercare un periodo preciso della vita di nostro padre Ennio Mariani ci ha portato a richiedere, a suo nome, la Medaglia d’onore, concessa dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e conferita ai cittadini italiani deportati nei lager nazisti.
Il 27 gennaio di quest’anno, nella ricorrenza del giorno della memoria, a Palazzo Valentini abbiamo ricevuto la medaglia dal Prefetto, con una cerimonia che si è tenuta presso la Sala Di Liegro. Insieme alle mie sorelle, a mio fratello e a mio cugino Roberto Mariani, abbiamo ascoltato con grande emozione pronunciare il nome di nostro padre, ma anche con il rammarico per questo riconoscimento tardivo, arrivato dopo 71 lunghi anni, durante i quali l’esistenza degli IMI (Internati Militari Italiani), rientrati dopo la liberazione, è stata negata dai vari governi italiani e per questo caduta nel silenzio nei confronti dei nostri militari deportati dopo l’8 settembre 1943.
Il 6 aprile sono vent’anni che nostro padre ci ha lasciato e vorremmo ricordarlo a chi l’ha conosciuto e farlo conoscere a chi invece non ne ha avuto occasione.
Ennio è rientrato dalla prigionia il 17 luglio 1945.
Distrutto nel fisico e nell’anima ma pieno di voglia di ricominciare. Ha conosciuto subito mia madre, Fernanda Pasquali, iscritta al PCI. Anche lui dalla fine del 1945 si iscrisse al Partito. La sezione Garbatella, la Villetta, è stata per tutti noi la casa, il posto dove vivere, dove lavorare, e noi, che alla Villetta ci siamo nati e vissuti nel vero senso della parola, ricordiamo ancora quell’infanzia felice, l’odore del ciclostile, il campetto del gioco delle bocce, le interminabili serate estive con i giovani della FGCI a discutere del futuro, il bar gestito prima da nonno Domenico e poi da Pasqualone. Certo, ci sono stati momenti difficili, ma c’era un’unità tra compagni che ripagava sempre. Poi c’era “L’unità”, il giornale che Ennio portava sempre in tasca, che nostro padre, la domenica mattina, ci portava a diffondere, casa per casa.
Ennio non era una persona facile, politicamente un osso duro, nato nella scuola della Garbatella. Era autentico nel sincero e profondo attaccamento al partito, solido come nel suo  profondo amore per la sua famiglia. Ennio parlava ad alta voce, prendeva in giro tutti e soprattutto i professori, non aveva soggezione di nessuno e da un certo punto in poi non condivideva il cambiamento che era in atto.
Era un organizzatore instancabile di feste dell’Unità, costruttore del palco da dove faceva discorsi appassionati e magistrale trascinatore nelle affissioni di manifesti durante le campagne elettorali.
Gli anni del dopoguerra, il lavoro precario ai Mercati generali, per il quale fu intervistato denunciando le pessime condizioni di lavoro, con lo pseudonimo di Otello (per non rischiare di perdere anche quelle occasioni di lavoro tanto importanti) lo hanno temprato, hanno forgiato un uomo appassionato e generoso.
Ricordiamo che insieme a Don Picchi ha sostenuto e lottato per adibire la ex Casa del Fanciullo al luogo che è oggi il Centro italiano di solidarietà (CEIS). Fu il primo presidente del centro anziani alla Montagnola, da lui e dai compagni della sezione Montagnola fortemente voluto. Era un uomo ingombrante che ci ha sempre messo la faccia, che con trasporto esponeva i suoi ideali e con la stessa intensità amava fare del bene agli altri senza mai vantarsene. Entrava senza chiedere il permesso nella vita di ognuno. Era grande il nostro papà e ci piace pensare che chi l’ha conosciuto la pensi come noi.
Dopo la Bolognina però non aveva scelto. Aveva sofferto molto, ma il suo grande amore era rimasto vivo. Un amore nato in un lager, al freddo, patendo la fame, la fatica, i soprusi e le torture. Un amore che lo ha accompagnato per tutta la vita, un amore rosso come la sua passione, e a chi gli diceva di schierarsi rispondeva gridando: “io nu me devo rifonda’…io resto io” e, restando fedele al suo antico ideale, ormai dissolto, non scelse il nuovo che si profilava perché non lo riconosceva più.
Pensiamo che dobbiamo opporci al dissolversi nel tempo delle cose e delle persone. Abbiamo pensato di ricordarlo così, con poche righe, perché i ricordi restano e sono parte ineludibile del nostro presente. Sono le nostre radici.
6 Aprile 1996 – 6 Aprile 2016 Rodolfo, Patrizia, Katia, Valentina e Vitaliana.
Un appassionato grazie ai figli di Ennio Mariani, che hanno voluto ricordare la memoria del loro padre, un uomo semplice e grande, con parole così toccanti. Quando i figli ricordano con tanto orgoglio le loro radici vuol dire che è stata loro trasmessa un’autentica nobiltà. E’ questo il caso di Ennio e anche di Fernanda. Per chi non ha conosciuto Ennio, spieghiamo a che cosa si allude nella lettera dei cinque fratelli Mariani, quando parlano della Villetta come della loro casa, “dove siamo nati e vissuti”. La Villetta, dalla Liberazione in poi, è stata per la Garbatella la“casa del popolo”, dove oltre che sede politica sono stati ospitati associazioni culturali, associazioni sportive, scuole di alfabetizzazione, circoli del cinema e del teatro, circoli giovanili e una infinità di altre organizzazioni democratiche.
Ma per Ennio e per la sua numerosa famiglia è stata per lunghi anni la loro vera casa. La Sezione aveva bisogno di un custode, più di una volta era stata fatta  oggetto di incursioni di sabotatori, culminati nel 1950 da una vera aggressione in grande stile, peraltro respinta a furor di popolo, di neofascisti dell’MSI. Ennio aveva gravi problemi di abitazione, era nel contempo un uomo deciso, altamente affidabile. Gli fu chiesto di assumere lui il compito di custode e gli fu assegnato l’unico posto disponibile, il sottotetto della Villetta, dove oggi c’è l’Associazione Italia-Cuba. Lì la sua famiglia divenne numerosa, lì Ennio poteva dare corso alla sua passione politica.
Lo spazio che occupava era scarso e abbastanza scomodo da praticare, ma era sufficiente a compattare le sue grandi passioni: famiglia e Partito.
Ennio si spezzava la schiena lavorando al Mercato grande dell’Ostiense, il luogo in cui aveva lavorato anche Giuseppe Cinelli, martire alle Ardeatine, al cui nome era intitolata la sezione comunista di quella Villetta che Ennio per lunghi anni ha custodito.
Cari figli di Ennio, grazie per il bel ricordo di vostro padre che ci avete mandato e che a me ha fatto rivivere episodi ed atmosfere che oggi sembrano svaniti.

Cosmo Barbato

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 12 – Aprile 2016

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail