Siamo andati per un servizio giornalistico e l’emozione ci ha travolti più di quanto ci aspettassimo Tatiana e Svetlana
dall’Italia con amore
Viaggio nella nostalgia della comunità ucraina di Roma
di Alessandra De Luca e Pasquale Navarra
Come a Garbatella tutti sanno, la fermata della metropolitana e l’area degli ex Mercati generali sono i luoghi dove ogni domenica si ritrova l’intera comunità ucraina della nostra città. Comunità composta in grandissima parte da donne. La prima domenica di novembre siamo andati per un po’ in mezzo a loro per conoscere meglio questa realtà grande ma non ancora abbastanza visibile. …..
Siamo andati per un servizio giornalistico e l’emozione ci ha travolti più di quanto ci aspettassimo Tatiana e Svetlana
dall’Italia con amore
Viaggio nella nostalgia della comunità ucraina di Roma
di Alessandra De Luca e Pasquale Navarra
Come a Garbatella tutti sanno, la fermata della metropolitana e l’area degli ex Mercati generali sono i luoghi dove ogni domenica si ritrova l’intera comunità ucraina della nostra città. Comunità composta in grandissima parte da donne.
La prima domenica di novembre siamo andati per un po’ in mezzo a loro per conoscere meglio questa realtà grande ma non ancora abbastanza visibile.
La mattinata nuvolosa e fredda ci è apparsa come una di quelle magistrali immagini in bianco e nero che raffigurano la realtà in modo eccelso.
Abbiamo camminato tra questa folla di donne di quasi tutte le età; alcune leggevano tutto d’un fiato i giornali del loro paese, mentre molte altre, schierate su due file, esibivano fogli rabberciati sui quali era scritto, in italiano ed in cirillico: Cerco lavoro o Cerco lavoro ad ore ho esperienza o ancora Cerco lavoro badante telefono 328… Tutte, sia le giovani sia quelle più avanti nell’età, mostravano un sorriso tenero e sincero, anche se generato dal bisogno. Avvertiamo qualcosa, che è più di una spontanea solidarietà, quando assistiamo al colloquio fra una donna e l’autista di uno dei tanti furgoni preposti al trasporto dei pacchi destinati ad ogni angolo dell’Ucraina, alle famiglie di queste donne. Pacchi su pacchi che emanano l’amore ed in alcuni casi lo struggimento con cui vengono preparati ed inviati. Abbiamo anche voluto trattenerci di fronte ad un gruppo di donne e uomini che banchettavano; ci è piaciuto rubare un po’ dell’allegria genuina con la quale avevano solidamente ricostruito il loro paese in due metri quadri.
Poco dopo aver ripreso a camminare ci siamo trovati di fronte a due donne che discorrevano fra loro e ci siamo detti con lo sguardo che era finalmente l’ora di iniziare le nostre interviste. Una bionda e l’altra bruna, le due donne si mostrano presto ben disposte e cordiali. Svetlana, la bionda, ha trentasei anni e molta dolcezza nella voce; Tatiana, la bruna, ha quarant’anni e in un primo momento ostenta modi più guardinghi, coronati da due occhi penetranti; poi si rassicura e così anche lei inizia a rispondere volentieri alle nostre domande. Parlano entrambe un buon italiano, non solo perché sono a Roma una da tre anni e l’altra da cinque, ma anche perché sono entrambe laureate e da ragazze, a scuola, avevano già acquisito le tecniche di apprendimento delle lingue straniere. Sono di due città diverse (e distanti fra loro) dell’Ucraina: Svetlana è di Lvov (Leopoli), Tatiana è di Nadvirna. I loro nomi non sono di fantasia, ci hanno infatti autorizzati a trascriverli.
Svetlana raggiunge con comodità il luogo di appuntamento domenicale, poiché vive in un appartamento a San Paolo, dove è “badante” di un’anziana; Tatiana, invece, abita al Labaro insieme ad una connazionale e lavora “ad ore”, cioè ogni giorno attraversa coi mezzi pubblici buona parte di Roma per andare a fare le pulizie in qualche appartamento. Quando chiediamo loro qualche informazione in più sui pacchi che abbiamo visto pronti per la spedizione in Ucraina, ci dicono che contengono soprattutto giocattoli o vestitini per i figli, camicie per i mariti, qualche oggetto carino. Il prezzo per l’invio di un pacco è 1 euro e 55 centesimi al chilo; per l’invio di denaro c’è da pagare una tariffa pari al 5% della somma. Anche loro due hanno qualcuno in Ucraina: Svetlana un marito e tre figli, Tatiana una figlia, ma è legalmente separata dal marito.
Svetlana: Non c’è lavoro quasi per nessuno, in Ucraina. Nemmeno mio marito lavora. Sono io a mantenere tutti. Fino a un po’ di anni fa era diverso: un lavoro, una casa, erano dati a tutti, si poteva anche risparmiare. Poi, invece, sono spariti anche i depositi bancari!… Quando c’era ancora l’Unione Sovietica tutti avevamo delle sicurezze, la vita era meno difficile…
Tatiana: Adesso si è quasi tutti poveri, in Ucraina. È stato perso anche il diritto all’assistenza gratuita, se non paghi non ti curano in ospedale. Anche per l’istruzione c’è stato un peggioramento; prima lo Stato investiva molto di più sulla scuola. Io ero anche insegnante di… di lettere, come si dice in italiano… Mi lascio andare ad una frase apparentemente ad effetto e le dico: “Insomma, è arrivato tanto libero mercato, così tanto che la democrazia è solo qualcosa di simbolico…”.
Afferrano subito il concetto di queste parole. Svetlana, infatti, mi risponde: “Sì, è così… È successo questo, più o meno…”. Poi fa uno sguardo intenso, dando l’impressione che tanti pensieri le siano confluiti tutti insieme. Chiediamo se vanno almeno una volta l’anno nel loro Paese, per stare un po’ con i familiari. Tatiana: Io sono potuta andare una volta sola, negli ultimi due anni. Adesso è meno facile, perché se si parte si rischia di non poter più tornare, per le leggi nuove sul permesso di soggiorno…
Svetlana: Sì, è tanto difficile, adesso. Io sono due anni che non vado a vedere i miei. I tempi per il rinnovo del permesso di soggiorno sono troppo lunghi, questa legge che c’è adesso è troppo restrittiva… Ma i miei figli, mio marito, mi mancano…
Ed a questo punto Svetlana si interrompe bruscamente, emette un singhiozzo, si volta e piange sommessamente. Non è facile per noi intervistatori evitare di manifestare la commozione che ci è stata inevitabilmente trasmessa, ma ci riusciamo. Diamo però un abbraccio discreto a questa donna che evidenzia quanta barbarie è insita nella legge sull’immigrazione “Bossi-Fini”; che ricorda quali sono i valori forti ai quali non si deve rinunciare. Quando Svetlana riprende a parlare i suoi occhi chiari sembrano essere più grandi. “Sì, è molto più difficile per noi, adesso, andare a passare anche solo qualche giorno nel nostro Paese” ci dice. “Non possiamo mai farlo “fuori programma”, perciò anche se succede qualche problema a casa nostra non è possibile partire subito…”. Mi chiedo se è il caso di porre una certa domanda, loro intuiscono e così mi liberano dall’imbarazzo: Svetlana: Più della metà delle famiglie di noi donne che stiamo qui sono rovinate. La lontananza per così tanto tempo fa finire i matrimoni. E ai figli manca il punto di riferimento della madre. Tatiana: È successo a tante che conosciamo: dopo anni passati così lontano i loro affetti si sono rotti… C’è da accettare anche questo, per poter vivere.
Le due donne conoscono abbastanza la storia, quindi annuiscono quando diciamo loro che una volta gli ucraini eravamo noi, cioè molti italiani che andarono a lavorare in numerose parti del mondo. E aggiungiamo che oggi sembra che ciò si sia dimenticato. Sembra si sia dimenticato quanto le situazioni di discriminazione subite da molti extracomunitari somigliano a quelle subite da molti italiani, anche appena al di là del confine (la Svizzera, un esempio per tutti). Ma, al di là di questo, Svetlana e Tatiana affermano con piacere che negli italiani hanno sempre riscontrato un certo spirito di accoglienza e che quindi non sono mai state vittime di episodi di xenofobia. Tatiana ci dice anche: “Io, sinceramente, non so come la prenderei se anche nel mio Paese venissero a vivere molti stranieri. Chissà, forse anche l’Ucraina farà un giorno questa esperienza… Quel che mi sembra certo è che i ricchi sono difficilmente solidali con i poveri, in qualunque parte del mondo…”.
Svetlana ci spiega poi quale sentimento provano verso il loro Paese: “Noi desideriamo tornare, prima o poi, a vivere in Ucraina. Questa è una differenza che abbiamo con stranieri di altre nazionalità, che per la maggior parte vogliono restare per sempre qui. Noi no, noi vorremmo restare in Italia solo il tempo necessario per guadagnare quanto basta per tornare a vivere nel nostro Paese.”
E Tatiana rafforza il pensiero della sua amica: “Nel nostro Paese siamo nate e cresciute bene, è lì che ci siamo formate, è lì, nonostante tutto, la nostra dimensione, dalla quale non ci possiamo sradicare.”
Salutiamo con un abbraccio queste due donne che stanno vivendo con grande coraggio il futuro che non si sarebbero mai aspettate e proseguiamo ancora un po’ il nostro giro tra questa comunità. Ma non chiediamo a nessun’altra di concederci interviste, poiché Svetlana e Tatiana hanno già detto praticamente tutto.
Passiamo ancora tra le due ali di donne che espongono, in doppia lingua, le loro richieste di lavoro. Vediamo ancora sorrisi e sguardi che sanno restare tranquilli. Torneremo presto ad occuparci di loro e delle problematiche attinenti. Questa è la cronaca fedele di una mattinata trascorsa, per Cara Garbatella, fra la comunità ucraina di Roma.
Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 1 – Dicembre 2004