I ricordi di Pierina Solaini, 92 anni e di Giovanni Unfer, scampati ai tedeschi che occupavano Roma
Di Giorgio Guidoni
Pierina è una ragazzina di quattordici anni. Ci sarebbe poco da essere allegri nella Roma del ‘43, ma la vita vista con gli occhi di un’adolescente, anche in tempo di guerra, ha sempre i colori forti della gioia e della fantasia. La famiglia di Pierina abita in via delle Sette Chiese 212, in un caseggiato basso a forma di elle con una piccola corte interna, davanti al cancello d’entrata della Tenuta dei Santambrogio, ex Nicolai. Condividono il vicinato con altri due nuclei familiari, gli Unfer e i Giammarini.
In casa ci sono papà Virgilio Solaini, classe 1894, già combattente nella Prima Guerra Mondiale, lui lavora in un cantiere stradale che sta realizzando la via Imperiale, quella che sarà la Cristoforo Colombo. Mamma Marianna Paladini è una bella donna alta, che in quel periodo di stenti e rinunce pesa a malapena 45 chili. Con loro ci sono anche i due fratelli, Piero del 1921 e l’ultimo maschietto Aldo del ‘37. L’altra famiglia di vicini è composta da Giovanni Unfer, dalla moglie Franca e dal nipote Dante. Gli Unfer sono originari di Timau, una piccola frazione in provincia di Udine dove, sin dal medioevo, si parla un particolare dialetto carinziano simile al tedesco. Loreto Giammarini, che lavora con Virgilio e fa il guardiano del cantiere stradale, è il terzo inquilino del fabbricato.

Il rifugio antiaereo
È il 9 settembre 1943, ieri la radio aveva annunciato che la guerra era finita, ma papà aveva invece detto che a Roma la guerra era appena cominciata. Oggi spari, scoppi di bombe a mano, confusione. Per Pierina è come un gioco uscire di casa con le altre persone dell’abitato e correre al riparo in un anfratto poco fuori casa a lato dl cortile: una vecchia grotta accessibile scendendo una ventina di gradini, originariamente utilizzata come cantina per il vino ed ora adibita a rifugio antiaereo. Nella grotta-rifugio si ritrovano la famiglia Solaini con la famiglia Unfer, non c’è invece Loreto Giammarini, rimasto a sorvegliare il cantiere. Tutti in silenzio, il fiato sospeso, il respiro al minimo, le orecchie tese a cercare di capire cosa stia accadendo all’esterno. Là fuori la Storia gira come una mola implacabile che passa e frantuma tutto ciò che incontra. Ora sono vicinissimi, si odono spari e voci di soldati tedeschi che urlano nella loro lingua incomprensibile. Tutte le persone nel rifugio restano mute e impaurite. Tutte tranne Giovanni Unfer il quale, ha capito che i tedeschi hanno intimato loro di uscire immediatamente dalla grotta altrimenti avrebbero lanciato bombe a mano al suo interno. Con calma si alza e sale i venti gradini che separano la quiete apparente dalla guerra reale. Fuori trova i militari con i mitra puntati. Giovanni avanza con le mani in alto e con il suo dialetto, simile alla lingua tedesca, si fa capire. Spiega con calma e sangue freddo che di sotto ci sono soltanto i suoi familiari, chiede pietà per quelle vite umane innocenti. Riesce ad essere convincente, a calmare la furia dei nazisti che, addirittura, lo consigliano di tornare giù di sotto, perché è un posto più sicuro della strada, dove infuria una battaglia senza esclusione di colpi. Giovanni torna giù e tranquillizza gli altri rimasti all’interno col fiato sospeso, ignari di cosa potesse accadere. Il tono più pacato delle voci aveva fatto loro intuire che le cose si erano messe per il verso giusto. Per tutti, tranne che per Loreto Giammarini, uno dei primi caduti nella battaglia della Montagnola e della presa di Roma. Il povero Loreto, sorpreso dagli eventi, tenta di nascondersi con dei rami sul ciglio della strada nel pratone di fronte all’attuale ex Fiera di Roma. I soldati tedeschi che avanzano dall’Eur verso il centro, probabilmente gli stessi che poi giungeranno al bunker, vedono un movimento sospetto e rispondono con una sventagliata di mitra. Colpito alle gambe Loreto sarà in un primo momento trasportato dai sacerdoti della Parrocchia all’ospedaletto mobile tedesco in località Decima. Ma i militi tedeschi rifiutano di prestare assistenza al ferito, che dunque verrà trasferito all’infermeria del Forte Ostiense, dove purtroppo morirà dissanguato alle prime ore dell’11 settembre 1943.

Aereo Alleato
Qualche settimana dopo Roma è occupata dai tedeschi e si trova nell’insolita posizione di doppio assedio, interno degli occupanti ed esterno da parte delle forze Alleate. Pierina è fuori casa con le sue amichette, non pensa alla guerra e a tutte le tristezze che porta con sé, stanno ascoltando rapite i racconti che Dante elargisce per volare con la mente lontano dalla terribile realtà. Non fa caso a un rombo in lontananza che si avvicina minaccioso, basse frequenze che vibrano direttamente nel ventre e generano uno strano senso di paura: è un aereo delle forze Alleate proveniente dalla direzione di via di Tormarancia, che si sta avvicinando a Roma per un’azione di guerra. Pierina nota che il velivolo si sta abbassando di quota, ma è immersa nel racconto di Dante. Ode la voce dalla madre che le intima perentoriamente di tornare dentro casa. Pierina risponde svogliatamente, indugia, non vorrebbe andare. La mamma la sollecita nuovamente, lei alla fine si congeda dalle altre amiche e si alza per andare verso casa. Ci sono pochi metri di strada da fare. Arrivata a metà del percorso sopraggiunge Dante che la spinge giù con forza, cadono tutti e due per terra, proprio mentre l’aereo sceso di quota inizia a mitragliare, con la sventagliata che passa a pochi metri da loro immobili. Gli Alleati che avevano visto qualcosa muoversi a terra non erano andati tanto per il sottile, fortunatamente senza colpire nessuno.
Le Fosse Ardeatine,24 marzo 1944
Pierina, vive in prima persona quel drammatico momento storico. La loro casa si trova proprio sulla via delle Sette Chiese, una delle strade che portano alle catacombe di Domitilla e alla Basilica di San Sebastiano, nei pressi della via Ardeatina. Quel pomeriggio del 24 marzo 1944, tutti notano il passaggio sospetto di alcuni camion, coperti dai teli scuri, che vanno avanti e indietro, e si interrogano su cosa stia accadendo. Poco dopo, da dietro la collinetta, arrivano alle loro orecchie i rumori lugubri di raffiche di spari, netti, distinti, con quel maledetto suono secco e metallico, ta-ta-ta-ta-ta, mitragliate che lacerano il silenzio della campagna. I rumori vanno avanti fino a sera. Poi arriva un enorme botto e niente più. Qualche giorno dopo da dietro la collinetta arriva il boato di un’altra ultima grande esplosione. La gente comincia a chiedersi che cosa sia successo. Le voci si spargono, arrivano persone da varie zone di Roma, i famigliari di persone scomparse si domandano cosa sia successo ai loro cari, nel terribile dubbio che i loro congiunti siano stati assassinati. Anche Pierina e gli altri ragazzini si fanno coraggio e si incamminano verso il luogo, superano la collinetta e arrivano: di fronte a loro è una confusione indicibile, dove oggi hanno costruito una grande lastra, proprio lì c’è un piazzaletto pieno di gente che entra ed esce. Entrano anche loro. Ci sono tante piccole gallerie occupate a destra e a sinistra da bare di vittime già riconosciute con nome e cognome sopra. I ragazzini vedono poi mucchi di cadaveri, altri morti sparsi per terra, altre bare. Alla fine di una di queste gallerie c’è la Fossa, una buca enorme profonda, colma di cadaveri e una donna disperata che urla “è mio figlio tiratelo fuori! È mio figlio, è mio figlio”. Un grido che ancora oggi risuona nelle orecchie di Pierina, un ricordo indelebile, impossibile da cancellare.
Pierina ha vissuto alla Garbatella sino al 1962, anno in cui si sposò e si trasferì in Toscana. La casa a forma di elle, dove abitava, è stata abbattuta. Non esiste più nemmeno il civico 212, si trovava a pochi passi dall’attuale pizzeria “Il secchio e l’olivaro”ed era a qualche decina di metri dalla storica osteria dell’Ardito. Oggi quel tratto di via delle Sette Chiese è una stradina interrotta dalla trafficata e rumorosa via Cristoforo Colombo, un frammento della Garbatella più antica. Pierina ha 92 anni, è una bella signora vispa e ricca di ricordi, sia di quei terribili momenti vissuti con un pizzico di incoscienza, sia dei tanti anni trascorsi con semplicità e gioia nel quartiere, luogo sempre portato nel cuore, memorie appassionate che ancora oggi le illuminano gli occhi.





