Noi assistenti sociali: da diavolesse a eroine

Iniziamo da questo numero la collaborazione con le Assistenti sociali del Municipio XI.
Ospitiamo volentieri il loro primo contributo

Noi assistenti sociali: da diavolesse a eroine

di Maria Basile e Simona Abbondanza

Diavolesse? E’ l’idea dell’immagine che vediamo riflessa nelle parole e finanche negli sguardi di coloro che hanno il piacere, si fa per di dire, di conoscerci. Ma chi siamo? Le “temutissime” assistenti sociali: figure professionali di cui poco si parla, meno si sa e meno ancora si vuole  sapere. L’interesse nei nostri confronti nasce solo in situazioni di cosiddetto bisogno e già questo ci pone sotto un’ottica poco piacevole. Se consideriamo poi che, in molti casi, le domande che ci vengono poste non trovano risposte adeguate, …..

Iniziamo da questo numero la collaborazione con le Assistenti sociali del Municipio XI.
Ospitiamo volentieri il loro primo contributo

Noi assistenti sociali: da diavolesse a eroine

di Maria Basile e Simona Abbondanza

Diavolesse? E’ l’idea dell’immagine che vediamo riflessa nelle parole e finanche negli sguardi di coloro che hanno il piacere, si fa per di dire, di conoscerci. Ma chi siamo? Le “temutissime” assistenti sociali: figure professionali di cui poco si parla, meno si sa e meno ancora si vuole  sapere. L’interesse nei nostri confronti nasce solo in situazioni di cosiddetto bisogno e già questo ci pone sotto un’ottica poco piacevole. Se consideriamo poi che, in molti casi, le domande che ci vengono poste non trovano risposte adeguate, il gioco è fatto! Ma allora queste assistenti sociali che fanno, a che servono? Generalmente proviamo ad aiutare persone in difficoltà che per vari motivi personali, sociali, storici non hanno casa, non hanno reddito, non hanno amici, oppure hanno problemi di salute, dipendenze varie, situazioni complicate e drammatiche, insomma “la vita”.
Ma come ci sarà venuto in mente di fare un lavoro in cui lo stipendio conta poco e meno ancora conta lo status sociale. Forse un senso di inadeguatezza o ancora problematiche personali (in fondo saremmo un po’ “sfigate”), oppure non sapevamo fare altro, o ancora: è così bello aiutare gli altri con un profondo spirito caritatevole.
Sarà questo il motivo cardine della scarsa considerazione che ci viene prestata? Potrebbe essere. Secondo noi, siamo semplicemente delle professioniste che, ormai da due secoli, utilizzano la relazione come risorsa e al tempo stesso come strumento della loro azione specialistica.
Qualcuno si starà già chiedendo: e che sarà mai questa relazione, ma a cosa serve? Intendiamo con questo termine il rapporto che si instaura con chi ha bisogno anche semplicemente di essere ascoltato, di uno spazio e di una visibilità che altrimenti non troverebbe da nessun’altra parte Si tratta perciò di un rapporto professionale ma umano, che punta sulla volontà di conoscere l’altro, cercando di vedere la persona al di la delle difficoltà, delle differenze, dei pregiudizi. Rapporto che si fonda soprattutto sull’ascolto, in un mondo dove i ritmi di vita sono ormai così frenetici che si ha appena il tempo di guardarsi fugacemente in uno specchio, o non lo si fa affatto per paura di vedere riflessa una persona che non si conosce più. Siamo qui per dare senso anche a chi “un senso non ce l’ha” in una società sempre più indifferente all’altro e a quello che gli succede ma che ancora può contare in “luoghi” dove ciò che è umano, ciò che non ha bisogno di trovare a tutti i costi un tornaconto, tante volte emerge: per esempio, quartieri storici come Garbatella, nati come effetto di vecchie e superate politiche sociali, ma che hanno saputo trasformarsi positivamente dando vita a comunità solidali e al tempo stesso aperte al nuovo.
Il nostro lavoro ci vede impegnate quotidianamente con utenti che giungono da questo quartiere storico, che sa di vecchio e nuovo al tempo stesso: perché al di là di ogni immaginazione le situazioni di disagio sono molteplici e forse paradossali. E’ lo specchio di una realtà variegata e multiforme, lo specchio di situazioni di difficoltà sociali che ritroviamo in tutto il territorio ma che per prime esplodono qui. Situazioni di solitudine che appaiono all’improvviso in tutta la loro gravità lasciando a volte senza parole per l’apparente normalità con la quale vengono accettate e vissute. Situazioni di disperazione nascoste sotto una parvenza di quotidianità che sono invece lontanissime da una condizione di vita dignitosa, che sempre più appare una bella frase di poco senso. La solidarietà, che ha contraddistinto quartieri come
Garbatella per la comunanza di vita determinata anche dalla storia, spesso dietro una parvenza di dignità nasconde la mancanza di condizioni di vita dignitose indipendentemente dal reddito. Quello che però di più colpisce e che lascia perplessi è la complessità delle situazioni di fronte alla quali ci affidiamo spesso alla pura creatività perché abbiamo scoperto, pur non avendolo letto in nessun libro universitario, che si tratta di una “risorsa” efficace ed imprevedibile: molto spesso l’unica disponibile.
Eroine creative, forse ci siamo montate la testa oppure è un semplice delirio d’onnipotenza, un delirio senza il quale non potremmo volare,
come nella nostra fantasia, nel cielo azzurro della Garbatella.

 

 

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 9 – Marzo 2012

 

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