A proposito di Bilancio partecipativo

Dal Presidente dell’XI Municipio riceviamo e pubblichiamo

A proposito di Bilancio partecipativo

Massimiliano Smeriglio
Presidente Municipio Roma XI

Cara redazione, ho deciso di prendere carta e penna dopo aver letto il paginone che avete dedicato al Bilancio Partecipativo. Vorrei ricordare che il Bilancio Partecipativo (e non delle generiche forme di partecipazione e cittadinanza attiva) è parte integrante del programma di governo della coalizione di centro sinistra che rappresento, programma rinnovato da un documento definito “Carta di fine mandato” che di qui a poco presenteremo ai cittadini. Strana la dichiarazione di Andrea Fannini, segretario DS di Garbatella, quindi dirigente del partito di maggioranza relativa della coalizione che mi sostiene, che parla della sua elezione a portavoce come provocazione. Come si coniuga tutto ciò con il patto della coalizione che prevede la sperimentazione del Bilancio Partecipativo? …..

Dal Presidente dell’XI Municipio riceviamo e pubblichiamo

A proposito di Bilancio partecipativo

Massimiliano Smeriglio
Presidente Municipio Roma XI

Cara redazione, ho deciso di prendere carta e penna dopo aver letto il paginone che avete dedicato al Bilancio Partecipativo. Vorrei ricordare che il Bilancio Partecipativo (e non delle generiche forme di partecipazione e cittadinanza attiva) è parte integrante del programma di governo della coalizione di centro sinistra che rappresento, programma rinnovato da un documento definito “Carta di fine mandato” che di qui a poco presenteremo ai cittadini. Strana la dichiarazione di Andrea Fannini, segretario DS di Garbatella, quindi dirigente del partito di maggioranza relativa della coalizione che mi sostiene, che parla della sua elezione a portavoce come provocazione. Come si coniuga tutto ciò con il patto della coalizione che prevede la sperimentazione del Bilancio Partecipativo?
La questione, ovviamente, non sono le critiche, tutte legittime, ad un processo che muove i primi passi e che non può che essere empirico, consapevole che deve imparare dai propri errori. D’altronde qualsiasi innovazione nasce dalla rottura delle compatibilità precedenti e mette paura a chi è abituato a conservare. Il punto, assai contraddittorio, è il fastidio che si evince e la sufficienza con cui, soprattutto Cosmo Barbato, tratteggia un tentativo, certamente incompiuto e ancora poco strutturato, di rimettere a tema una cosa grande come la democrazia locale. E questa è una domanda che neanche Cosmo può eludere. E non basta ricordarci che esiste la democrazia rappresentativa, i partiti e così via.
Se fosse così il nostro Paese sarebbe migliore, e non è una novità per nessuno se con la fine del secolo breve la composizione sociale si è frammentata tanto quanto le forme del lavoro e con questa scomposizione anche le forme storiche di organizzazione di massa, i partiti, il sindacato, le grandi associazioni del tempo libero, non sono più in grado di rimettere insieme la generalità degli interessi delle classi subalterne. E comunque non hanno più nessuna voglia di farsi, di nuovo, cinghia di trasmissione.
C’è una crisi della democrazia epocale che va dal ruolo dell’ONU alla capacità degli Stati nazionali di resistere alla forza pervasiva del neoliberismo e alle armi dell’Impero che fa della guerra preventiva permanente l’asse del suo sviluppo. Ma la crisi della democrazia riguarda anche le nostre città, le città della vecchia Europa che vedono sempre più larghe masse di nuovi cittadini esclusi dai diritti elementari di cittadinanza. Non è sufficiente riproporre la logica della delega in bianco, una chiamata al voto una volta ogni cinque anni e in mezzo il vuoto, l’assenza di verifica e di protagonismo. Non la faccio troppo lunga, ma o abbiamo il coraggio d’investire sulla nostra gente, sperimentando, rinnovando, sbagliando anche, oppure il ruolo della buona politica si riduce a fare meglio quello che gli altri facevano peggio. Noi dobbiamo fare meglio ma per fare altro, per promuovere forme di auto organizzazione sociale che sappia sviluppare senso civico, coscienza di luogo, che sappia rimettere a tema una idea alta di cosa pubblica in quanto cosa di ognuno e di tutti. Da qui l’idea di mettere in campo una serie d’iniziative tra cui il Bilancio Partecipativo proprio perché questa sperimentazione sta dando buoni frutti, non solo sul mero piano elettorale, ma nella edificazione di una società locale più attenta alla dignità dell’uomo e alla valorizzazione dei beni comuni (acqua, terra, aria) in più di 500 città nel mondo, comprese una serie di municipalità italiane che hanno assunto come punto di riferimento il documento di Porto Alegre 2002 firmato anche da Pietro Folena. Ci vogliamo provare o no a costruire qui ed ora un altro mondo possibile? E lo vogliamo fare da tecnocrati o da uomini e donne che mettono in gioco i propri saperi? Lo vogliamo fare con tutti o solo con i residenti (strano questo ritorno al diritto di sangue e di suolo)?
Ci sono persone che per motivi di studio e lavoro (dipendente, atipico, interinale, ecc.) passano dieci dodici ore al giorno sul nostro territorio, avranno diritto di dire la propria, che so sulla mobilità che gli rovina la vita, o no? E i migranti, cosa ne facciamo, critichiamo la legge Bossi Fini sul piano generale e poi ne accettiamo la cultura razziale sul piano locale? Da ultimo, tralasciando tutte le accuse di demagogia, mi fa strano che un uomo come Cosmo utilizzi una categoria davvero di stampo qualunquista: il rapporto tra soggettività e massa. Cosmo dice gli abitanti sono 50mila, quindi come possono, in 159, decidere per tutti? bene per questa via potremmo interrogarci su quanti erano i giacobini che assaltarono la Bastiglia nel 1789 rispetto alla intera popolazione di Parigi (erano pochi, confusi, e poco consapevoli) oppure su quanti erano i partigiani combattenti durante la Resistenza al nazi fascismo. Erano pochi, per l’esattezza 232841, forse lo 0,5% della popolazione italiana. E allora? Chi è che fa la storia? E come si fa la democrazia? E come si sono fatte le Circoscrizioni se non sulla spinta di una minoranza di cittadini organizzati in Comitati di Quartiere (62 in tutta Roma, 4 o 5 quelli più combattivi) che pretesero il decentramento. A volte si può essere minoranza in grado d’intercettare e rappresentare gli interessi generali per costruire nuova società e nuove istituzioni, a volte si può essere maggioranza democraticamente eletta e rappresentare solo gli interessi di pochi, pochissimi. Come spiegare altrimenti la devastazione subita dalla nostra città dal 1870 ad oggi? O il sindaco Cioccetti rappresentava la città?
Il Bilancio Partecipativo non mette in discussione la democrazia roussoniana, ma la rimette in tensione, gli propone una possibilità di sopravvivenza al tempo della democrazia dei pochi e della egemonia internazionale degli organismi a-democratici (G8, WTO, multinazionali). Ci vogliamo provare insieme, nelle differenze e anche nelle discussioni più accese, o vogliamo rassegnarci al crepuscolo di un mondo, quello del novecento, che ci consegnerebbe, a Garbatella come altrove, solo un ruolo di testimonianza, custodi della memoria di un mondo che non c’è più. L’alternativa c’è, sta nella sperimentazione continua di nuove forme di socializzazione, tenendo, come sempre, ben fermo il cuore a sinistra. E la sinistra, per essere credibile non sul piano dell’alternanza ma su quello dell’alternativa, ha due obiettivi: vincere le elezioni e vincere nella società. Ma per vincere nella società c’è bisogno di esserci dentro, di farsi società locale, vivendone le contraddizioni e la complessità, a partire, per quel che riguarda il Municipio, da due grandi assi riferimento: la redistribuzione delle risorse e la partecipazione. Appunto il Bilancio partecipativo. Buon lavoro.

 

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 1 – Aprile 2004

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