Uno scambio di posto pagato con la vita

L’ atto di generosità del Partigiano Libero De Angalis

Uno scambio di posto pagato con la vita

di Cosmo Barbato

Scena di fucilazione: uno dei disegni della serie ‘ Gott mit uns’ eseguita dal pittore Renato Guttuso nel 1944 e pubblicata poco dopo la liberazione di Roma. Ricorda in modo impressionante la strage della Storta. Su “Cara Garbatella” del mese di giugno abbiamo rievocato la figura della medaglia d’argento Libero De Angelis, nel sessantesimo anniversario della sua fucilazione alle porte di Roma da parte dei tedeschi in fuga, avvenuta proprio nel giorno della liberazione, il 4 giugno del ’44. …..

L’ atto di generosità del Partigiano Libero De Angalis

Uno scambio di posto pagato con la vita

di Cosmo Barbato

Scena di fucilazione: uno dei disegni della serie ‘ Gott mit uns’ eseguita dal pittore Renato Guttuso nel 1944 e pubblicata poco dopo la liberazione di Roma. Ricorda in modo impressionante la strage della Storta. Su “Cara Garbatella” del mese di giugno abbiamo rievocato la figura della medaglia d’argento Libero De Angelis, nel sessantesimo anniversario della sua fucilazione alle porte di Roma da parte dei tedeschi in fuga, avvenuta proprio nel giorno della liberazione, il 4 giugno del ’44.
Nel breve ricordo di quel giovane eroe figlio della Garbatella (aveva 22 anni, era stato protagonista di spericolate azioni partigiane, aveva taciuto pur sotto le torture nelle prigioni di Via Tasso), facevamo cenno all’episodio culminante della sua vita, un suo estremo atto di generosità che ne aveva fatalmente determinato la morte.
Su questo episodio alcuni lettori, che abitano intorno a Via Giovanni da Capistrano (dove al Lotto 28 c’è la casa popolare un tempo abitata dalla famiglia De Angelis), i quali avevano conosciuto Libero o che ne sentirono parlare, ci hanno chiesto maggiori particolari.
Noi li raccogliemmo anni fa dalla viva voce di un testimone diretto, l’ing.Luciano Ficca, che era stato suo compagno di cella a Via Tasso nonché involontario coprotagonista dell’episodio che culminò con la morte del nostro eroe.
De Angelis, arrestato il 3 aprile quasi certamente per una delazione, fu subito tradotto presso il famigerato comando della Gestapo. Probabilmente quella stessa delazione portò anche alla scoperta di un deposito di armi e di munizioni che erano state nascoste dalle formazioni socialiste e comuniste in un cunicolo del Lotto 12 di Piazza Bartolomeo Romano, dove c’è il Teatro Palladium. I tedeschi sapevano che egli era depositario di segreti riguardanti non solo l’organizzazione della resistenza romana ma anche una sua delicata operazione di intelligence a favore degli Alleati, in relazione allo sbarco di Anzio, avvenuto il 21 gennaio, e alla successiva formazione di quella contrastatissima testa di ponte (in proposito, egli riceverà un riconoscimento ufficiale dall’OSS, il servizio segreto militare degli americani, “per il suo disinteressato aiuto all’esercito degli Stati Uniti nella lotta per la liberazione di Roma”). I tedeschi lo misero sotto torchio nel tentativo di estorcergli informazioni, ma Libero non parlò. “Avvisati in ritardo del suo arresto, riuscimmo a portargli a Via Tasso un unico cambio di biancheria – ci raccontò la sorella minore Lucilla – e quella che ci diedero indietro recava inequivocabili macchie di sangue che inutilmente avevano tentato di cancellare”.Luchino Visconti
Di fronte al suo ostinato silenzio, l’11 maggio i tedeschi desistettero temporaneamente dagli interrogatori e, dalla cella n°14 di Via Tasso, lo trasferirono nel braccio politico del carcere di Regina Coeli: forse si ripromettevano di sottoporlo più tardi a una seconda torchiatura, ma nell’immediato al comando della Gestapo si imponeva la necessità di fare spazio per far posto al continuo afflusso di nuovi prigionieri.
E veniamo all’episodio finale che si concluse con la sua uccisione. Alla vigilia della precipitosa fuga da Roma, i tedeschi, pur nella confusione di quelle ore concitate, non si dimenticarono di De Angelis e lo fecero riportare a Via Tasso facendolo prelevare da Regina Coeli. Di contro, molti altri prigionieri politici, abbandonati nelle celle del carcere romano alle “cure” dei fascisti anch’essi in fuga, si salvarono evadendo. A Via Tasso si formò un convoglio di quattro automezzi cui si sarebbe dovuto accodare un quinto mezzo, uno Spa38, che però non ne voleva sapere di mettersi in moto e che avrebbe dovuto trasportare gli ultimi prigionieri destinati alla deportazione, poco più di una trentina. Al momento di distribuire i detenuti sui vari mezzi accadde l’episodio che fu fatale per De Angelis. Egli rivide un suo vecchio compagno di resistenza e di cella, l’ing.Ficca, il quale in quei drammatici momenti si era inaspettatamente incontrato con un suo cugino, Ercole Piacentini, anche lui finito nelle mani delle SS: Ficca e Piacentini fino a quel momento non avevano saputo di essere detenuti entrambi nello stesso cupo comando della Gestapo. Tra i due cugini ci fu un lungo abbraccio, reso più drammatico dalla imminente nuova separazione: destinati a due automezzi diversi, chi sa se si sarebbero mai più rivisti! De Angelis era destinato con Ficca a viaggiare sul terzo automezzo, mentre Piacentini era destinato al quarto. Ma Libero generosamente fece in modo che i due cugini, che si erano appena ritrovati, non si dovessero separare di nuovo e con circospezione cedette il suo posto a Piacentini. Ormai era notte e nel trambusto della fuga nessuno si accorse dello scambio. Poi l’autocolonna si mise in moto. Il mezzo su cui era salito Libero era dunque il quarto. I primi tre proseguirono verso il Nord. I prigionieri che vi erano stati caricati, giunti a Firenze, furono imbarcati su vagoni sigillati diretti a Worgl, in un campo dell’Austria meridionale, e di lì più tardi vennero deportati a Berlino. Il mezzo su cui viaggiava Libero insieme ad altri tredici detenuti (o forse quindici) fece sosta invece al quattordicesimo chilometro della Cassia, poco prima della località La Storta. I prigionieri furono fatti scendere e vennero rinchiusi in un fienile. Dalle testimonianze raccolte tra poveri sfollati che occupavano alcune grotte disseminate nei pressi, apparve subito chiaro che i tedeschi cercavano un posto per eliminarli. Non potendo utilizzare le grotte, stipate di misera gente terrorizzata, i tedeschi condussero fuori in fila indiana i prigionieri con le mani legate dietro la schiena e li disposero a semicerchio in uno spiazzo. Mentre venivano falciati a colpi di mitra, uno, benché legato e ferito, tentò una fuga disperata. Ma anche lui fu raggiunto e finito con un inequivocabile colpo di grazia: era Libero De Angelis.
Ecco i nomi degli altri tredici suoi compagni di martirio: il socialista Bruno Buozzi cofondatore della Cgil, il gen, Piero Dodi, il prof. Luigi Castellani, l’ing. Edmondo Di Pillo, l’avv. Lino Eramo, l’ufficiale di marina Alfio Brandimarte, un ingegnere di origine polacca Frejdrik Borian, Vincenzo Conversi ragioniere, Alberto Pennacchi tipografo, il capitano Enrico Sorrentino, Saverio Tunetti insegnante, il tenente Eugenio Arrighi e un inglese rimasto sconosciuto. Stando alla dichiarazione di una contadina, testimone oculare, dal fienile sarebbero fuggiti, e quindi si sarebbero salvati, altri due prigionieri. Sempre dalle testimonianze, risulta che all’eccidio abbiano partecipato anche alcuni fascisti italiani in divisa da SS.
Ercole Piacentini, il detenuto che era partito con il terzo automezzo sul quale si sarebbe dovuto trovare De Angelis, ebbe salva la vita e con lui si salvarono, pur tra inenarrabili peripezie, anche suo cugino Luciano Ficca e buona parte dei prigionieri deportati in Germania; si salvarono inoltre anche quella trentina di prigionieri destinati al quinto automezzo, lo Spa38 che non riuscì a mettersi in moto: in nottata furono lasciati liberi dagli alpini del battaglione altoatesino Bozen che svolgeva funzioni di polizia cui erano stati affidati e che, di fronte all’incalzare degli Alleati, preferirono mollare tutto e tagliare la corda.
Perché la strage della Storta? Secondo una autorevole ipotesi, erano destinati alla soppressione tutti i prigionieri caricati sul quarto automezzo e anche sul quinto ( quello che fortunatamente non si mise in moto) perché si trattava di resistenti particolarmente invisi agli occupanti. Il colonnello Kappler, nel corso del suo processo, forse per scaricarsi di un’ulteriore sua responsabilità oltre di quella della strage delle Ardeatine, sostenne invece che non si trattò dell’esecuzione di un suo ordine bensì di un’iniziativa estemporanea del tenente Karem, comandante dell’autocolonna. A sostegno della prima ipotesi c’è però la segnalazione anonima di una SS italiana che nella notte tra il 3 e il 4 giugno aveva disertato: in un biglietto vergato a matita fatto trovare ai liberatori annunciava l’intenzione dei tedeschi di sopprimere una parte dei prigionieri. “Affrettatevi, scriveva, cercate nelle zone della Storta o di Baccano o di Campagnano o di Monterosi, insomma lungo la Cassia. Ma fate presto”. Ormai però era tardi, la tragedia si era già consumata nella prima località indicata nel foglietto.
Quando incontrammo la signora Lucilla, sorella minore di Libero, raccogliemmo anche il drammatico racconto dell’arrivo nella loro casa della notizia dell’uccisione del fratello: “Subito dopo la liberazione del 4 giugno, mentre la Garbatella e tutta Roma erano in festa per la fine dell’incubo dell’occupazione, la nostra famiglia aspettava da un momento all’altro il ritorno tanto atteso. Una mattina, tornando dalla spesa, mia madre si accorse che nel cortile tutti gli inquilini del Lotto erano fuori dalle case e la guardavano. Si facevano dei cenni, ma nessuno parlava: capì che era successo qualcosa al figlio. Ma chi aveva il coraggio di dirle la verità! Poi cadde in un pianto disperato e in una prostrazione dalla quale non si riprese mai più”.

 

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 1 – Ottobre 2004

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