Sette Chiese: difficile il recupero di quell’antica strada mortificata
Un’urbanizzazione incongrua l’ha spezzettata. Il taglio secco della Colombo.
Ora si tenta di valorizzare i tratti superstiti. Garbatella, l’ ottavo colle di Roma.
di Cosmo Barbato
Via delle Sette Chiese: è bastato meno di un secolo per disfare quel che si era andato formando nel corso di almeno duemila anni. Ora si sta tentando di ricucire i vari tronconi di quell’antica strada, nata come una sorta di tangenziale sud che raccordava cinque vie: il Tevere (importantissimo percorso fluviale), l’Ostiense, la Via Laurentina, la Via Ardeatina e l’Appia. E’ una strada di crinale, che si snoda cioè sulla cima di una collina o di un gruppo di colline per evitare i fondovalle acquitrinosi: nel nostro caso, a nord quello formato dal fiume Almone, a sud quello della marrana di Grottaperfetta, due affluenti del Tevere oggi tombinati rispettivamente sotto la Circonvallazione Ostiense e Via Giustiniano Imperatore. …..
Sette Chiese: difficile il recupero di quell’antica strada mortificata
Un’urbanizzazione incongrua l’ha spezzettata. Il taglio secco della Colombo.
Ora si tenta di valorizzare i tratti superstiti. Garbatella, l’ ottavo colle di Roma.
di Cosmo Barbato
La facciata laterale della Via delle Sette Chiese: è bastato meno di un secolo per disfare quel che si era andato formando nel corso di almeno duemila anni. Ora si sta tentando di ricucire i vari tronconi di quell’antica strada, nata come una sorta di tangenziale sud che raccordava cinque vie: il Tevere (importantissimo percorso fluviale), l’Ostiense, la Via Laurentina, la Via Ardeatina e l’Appia. E’ una strada di crinale, che si snoda cioè sulla cima di una collina o di un gruppo di colline per evitare i fondovalle acquitrinosi: nel nostro caso, a nord quello formato dal fiume Almone, a sud quello della marrana di Grottaperfetta, due affluenti del Tevere oggi tombinati rispettivamente sotto la Circonvallazione Ostiense e Via Giustiniano Imperatore.
Roma ha un esempio illustre di questo sistema di viabilità arcaico in Via XX Settembre-Via del Quirinale, su cui confluivano la Via Salaria antica e la Via Nomentana: si chiamava “Alta Sèmita” e superava il colle più alto, il Quirinale, in direzione dell’emporio franco del Foro Boario, dove si scambiavano gli armenti con il sale proveniente dalle saline e dove, risalendo il Tevere, approdavano i mercanti greci che offrivano merci pregiate, stoffe, monili e vasi funerari.
Intorno alla Via delle Sette Chiese, una sorta di “colonna vertebrale” della viabilità, era andata formandosi la Garbatella a partire dagli inizi degli anni Venti del secolo scorso, prima dell’arrivo del fascismo. Il nuovo quartiere si doveva chiamare Concordia, un nome che richiamava un auspicio di pace sociale. Ma poi negli anni Trenta, in piena retorica fascista, fu proposto Remuria, riesumando una tradizione che, contrariamente a quella più accreditata, avrebbe voluto che, su queste colline invece che sull’Aventino, Remo avrebbe preferito fondare la sua città: come è noto, secondo la tradizione, prevalse Romolo e Roma fu fondata sul Palatino. In conclusione, da noi ebbe la meglio quel nome di sapore plebeo che già da tempo serviva a indicare questo lembo della campagna romana: Garbatella.
Il fascismo mostrò di non avere grande rispetto per la nostra storica via. Largo delle Sette Chiese costituisce una prima cesura nell’unitarietà del tracciato, deviando l’attenzione del viandante sulla più larga Via Macinghi Strozzi. Nessun accorgimento urbanistico, nessun arredo particolare ne indicano il proseguimento. Ancora più grave è il nodo di Piazza Sant’Eurosia, con la sua aiuola spartitraffico che nemmeno sta in asse col prosieguo della strada in uno dei lati del Parco di San Filippo Neri (nella piazza è in corso una radicale ristrutturazione che tuttavia non potrà restituire l’unitarietà alla nostra via). Dalla successiva Piazza Oderico da Pordenone la strada addirittura si perde, diventando un vicolo di poche decine di metri fino al taglio operato dalla Colombo.
In questo breve tratto rimane un raro monumento originale, costituito dal portale, l’unico rimasto dei dodici che davano accesso all’arboreto di mons. Nicolai, il ricco prelato che tra ‘700 e ‘800 fu proprietario di tutta questa zona: purtroppo è in stato di abbandono, benché si trovi sul muro di recinzione di un importante istituistituzione culturale, la Libera Università San Pio V. Poi arriva la Colombo, che ha tranciato brutalmente e inesorabilmente la Via delle Sette Chiese. Al di là la strada “riemerge” su Piazza dei Navigatori e prosegue per subire un ultimo sfregio in Largo Bompiani.
Si sta cercando adesso di rimediare in parte a tutti questi sconquassi. Si è cominciato col valorizzare il tratto che passa davanti alla Chiesoletta dei SS. Isidoro ed Eurosia, inserendolo nel bel parco di San Filippo Neri. Si sta cercando di risanare il tratto compreso tra Largo della Sette Chiese e Via Guglielmotti: viene trasformato in percorso pedonale (i lavori sono cominciati a giugno!). Poi toccherà allo stesso Largo delle Sette Chiese, dove il progetto prevede la creazione di due rotatorie e di ampi marciapiedi che però limiteranno il parcheggio.
Si proseguirà col risanamento del tratto tra Largo delle Sette Chiese e Piazza Sant’Eurosia. Ma insomma, per quanti sforzi encomiabili si vorranno fare, quei tre chilometri e mezzo della nostra strada resteranno spezzettati, disomogenei, frutto di una colpevole e irreversibile distrazione urbanistica.
Ma quanto è antica questa nostra strada? A giudicare dalla presenza lungo il suo percorso di sepolcreti romani, possiamo risalire all’età imperiale. Ci sono tracce però che inducono a farla risalire anche all’età repubblicana e addirittura all’età arcaica. Come si chiamasse allora non è dato saperlo. Si può tentare di darle un nome a partire dal 1400: una targa murata sulla parete della chiesoletta, incisa con caratteri almeno apparentemente quattrocenteschi, la indicano come “Via Paradisi”. Alcuni studiosi della campagna romana ritengono che si riferisca al nome di una famiglia che aveva proprietà in zona. Una pura supposizione non suffragata da prove.
Le carte più antiche in nostro possesso, risalenti al 1500, la indicano come “Via a San Bastiano” o Sebastiano. Acquista l’attuale appellativo sicuramente dopo il 1567, allorché San Filippo Neri, in pieno fervore controriformista, ripristina, con la benedizione del papa Pio V, il pellegrinaggio di massa alle sette maggiori basiliche romane (alla Chiesoletta era prevista una delle soste della processione). C’è da aggiungere che originariamente la via terminasse all’incrocio con l’Ardeatina e che, per raggiungere l’Appia e San Sebastiano, occorresse indirizzarsi verso la “Regina viarum” coprendo un tratto dell’Ardeatina in direzione di Roma fino all’altezza del “Domine quo vadis?”. Successivamente si cercò di rendere più agevole il percorso per San Sebastiano aprendo quell’ultimo tratto della nostra strada indicato con il nome di “Vicolo delle Sette Chiese” e che spartisce il complesso delle Catacombe di San Callisto da quello di San Sebastiano: per fare questo lavoro fu necessario sacrificare parecchie cappelle che erano sorte sul fianco di San Sebastiano le cui murature superstiti ora appaiono come dei ruderi.
La Via delle Sette Chiese percorre la cima di un gruppo di colline note un tempo come Colli di San Paolo che hanno la stessa caratteristica geologica dei sette colli di Roma: sono accumuli di rocce piroclastiche (tufi, pozzolane e cappellacci) eruttate per millenni dal grande vulcano laziale. Esse hanno formato una coltre
di 50-70 metri depositata sul fondo di argille grigie plioceniche, testimonianza della preesistenza di un fondo marino emerso. Col tempo questa coltre è stata intaccata da vari corsi d’acqua che si dirigono verso il Tevere e che hanno sagomato il paesaggio, spartendolo in colline separate da profonde valli acquitrinose a
loro volta ricolmate in parte da torbe e materiali incoerenti. Così abbiamo il Campidoglio separato dal Palatino dalla Valle del Velabro, il Palatino separato dall’Aventino dalla Valle Murcia (il Circo Massimo), l’Aventino separato dalla Garbatella dalla Valle dell’Almone e così via.
Possiamo dire quindi che la Garbatella sia un ottavo colle di Roma, il più meridionale.
Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 3 – Dicembre 2006





