Le Figlie della carità dell’ “Albergo Bianco” della Garbatella
Quando le cappellone persero il cappello
di Cosmo Barbato
La dicitura esatta è “Figlie della carità”, ma nella memoria degli anziani della Garbatella restano semplicemente “le cappellone”, per via dell’enorme svolazzante copricapo inamidato che le faceva apparire simili alle dame raffigurate nei quadri dei pittori fiamminghi. Oggi lo hanno dismesso, vanno a capo semiscoperto con i capelli appena raccolti in un fazzoletto, vestono un abito color carta da zucchero con gonna al polpaccio che le fa apparire più simili a delle operaie. Stiamo parlando delle benemerite suore che, dal 1928 e fino ai bombardamenti del marzo 1944, gestirono in varie forme l’assistenza nel Lotto 41, cioè nell’Albergo Bianco …..
Le Figlie della carità dell’ “Albergo Bianco” della Garbatella
Quando le cappellone persero il cappello
di Cosmo Barbato
La dicitura esatta è “Figlie della carità”, ma nella memoria degli anziani della Garbatella restano semplicemente “le cappellone”, per via dell’enorme svolazzante copricapo inamidato che le faceva apparire simili alle dame raffigurate nei quadri dei pittori fiamminghi. Oggi lo hanno dismesso, vanno a capo semiscoperto con i capelli appena raccolti in un fazzoletto, vestono un abito color carta da zucchero con gonna al polpaccio che le fa apparire più simili a delle operaie. Stiamo parlando delle benemerite suore che, dal 1928 e fino ai bombardamenti del marzo 1944, gestirono in varie forme l’assistenza nel Lotto 41, cioè nell’Albergo Bianco (detto così per via della tinteggiatura), duramente colpito durante la guerra. Divenute anch’esse delle senzatetto, un precario alloggio fu loro offerto nella “Casa dei bimbi”, l’asilo di piazza Nicola Longobardi gestito dal Comune dove sono passate generazioni intere di bambini della ex borgata. Qui continuarono le attività assistenziali finché l’Istituto Case Popolari non assegnò loro, come ad altri sinistrati, un nuovo alloggio: ad esse, a dieci anni dalle bombe, toccarono dei locali a piano terra nel Lotto 60, in Via Ignazio Persico 11, proprio di fronte all’Albergo Bianco, dove altre quattro suore di quell’Ordine (tante quante erano in origine!) tuttora abitano e dove gestiscono una miniscuola materna e un corso di cucito, accompagnando queste attività con l’assistenza a famiglie bisognose. Le dirige suor Letizia Freschi, che vestì l’abito quasi cinquant’anni fa.
Ma come arrivarono al Lotto 41 le Figlie della carità? Esse furono richieste esplicitamente e con insistenza dal presidente di quel tempo delle Case Popolari, l’architetto Alberto Calza Bini, per istituire con urgenza un centro polivalente di assistenza nel cosiddetto Albergo Bianco, al servizio anche degli altri tre Alberghi, i grandi edifici progettati inizialmente per accogliere i pellegrini dell’Anno Santo 1925, ma poi, giudicati inadatti, utilizzati per ricoverare gente senza tetto e masse di popolazione povera espulsa dal centro storico nel corso degli “sventramenti” operati dal fascismo.
La richiesta fu avanzata, tramite la Visitatrice provinciale e con l’appoggio del Vicariato di Roma, direttamente alla Casa madre dell’Ordine, a Parigi. Solo dopo molte insistenze furono “concesse” quattro suore che presero servizio il 10 maggio del 1928: dovevano garantire immediatamente la gestione della dispensa, della cucina, del refettorio e della contabilità. Le quattro suore si chiamavano Curti, proveniente direttamente da Parigi; Pievani, proveniente dal Testaccio; Ponte, proveniente dall’ospedale di Ivrea; Cocchetti, la più giovane, classe 1904, addetta alla cucina, appena uscita dal seminario. Le suore gestivano anche una cappella, in attesa che venisse costruita una parrocchia, quella che sarà la chiesa di Santa Galla alla Circonvallazione Ostiense, ultimata nel 1941.
Poi le attività assistenziali si accrebbero. Nell’Albergo Bianco fu istituita la maternità, sotto il patrocinio dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, che accolse una quantità di bambini, oggi tutte persone avanti negli anni che ricordano affettuosamente le cappellone. L’istituzione fu gestita diligentemente, tanto che veniva mostrata come buon esempio di un’opera sociale del regime. Ricevette la visita del Mahatma Gandhi (nel dicembre 1931), dei reali del Siam, più volte della regina Elena e di varie caritatevoli nobildonne. Ma ai visitatori non venivano mostrati gli alloggi dei residenti: una stanza per famiglia, le cucine e i gabinetti in comune (ogni mattina di buon’ora il lungo tormento della fila!) sistemati lungo i corridoi, uno per ogni certo numero di stanze. Nel Terzo Albergo, il Lotto 43, a Enrico Mancini, antifascista e nel ’44 martire alle Ardeatine, erano state concesse eccezionalmente due stanze: aveva moglie e sei figli! Nel complesso degli Alberghi un posto fisso di polizia garantiva una disciplina da caserma.
Quante storie dolorose, spesso legate alla povertà, si intrecciavano in quei falansteri. Quanti piccoli prestiti tra famiglie, accesi per sopravvivere, da scontare a breve, di solito il sabato, quando il padre portava a casa “la settimana”, se aveva trovato da sbarcare il lunario. Quanta solidarietà tra poveri e anche quanti piccoli egoismi dettati dalla miseria. Nelle rarissime occasioni in cui, sui fornelli delle cucine comuni, si poteva mettere a bollire un pezzetto di carne, occorreva fare la guardia. Una volta una massaia distratta si ritrovò nella pentola, al posto della carne, una scarpa vecchia: ma forse – ci hanno raccontato – quello fu solo un personale dispetto. E poi quanti amori sbocciarono in mezzo a quella folla di inquilini.
Tra gli edifici che furono colpiti nel bombardamento del 7 Marzo del ’44, uno di quelli che subì i danni e registrò i lutti più gravi fu proprio l’Albergo Bianco e in particolare l’ala che ospitava la maternità. Una cinquantina i morti, molti bambini; tantissimi i feriti. Tra questi, anche Giuseppina Cocchetti, la suorina cappellona addetta alle cucine. L’alloggio delle Figlie della carità fu pur esso reso inagibile: bisognava trovare un altro tetto e un altro luogo dove esercitare l’attività di assistenza. Fu così che le cappellone, a tutti gli effetti cittadine benemerite della Garbatella, per continuare la loro opera si trasferirono prima nella “Casa dei bimbi” e poi nell’attuale casa di Via Ignazio Persico. Ma in corso d’opera, a partire dal 20 settembre 1964, persero il cappello.
Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 1 – Luglio 2004





