Quando ho chiamato Pina Vurchio per informarla che avevo bisogno di una sua foto per l’articolo che stavo scrivendo, pensavo di scattargliene una io, ma lei mi ha risposto subito che aveva quella giusta per me. Ed eccola qui, la foto della “bambina del ’45” ritratta a circa 10 anni, proprio nel periodo cui si riferisce il suo racconto “Frammenti di un’autobiografia – La mia Garbatella”. Lo scritto risale ad una ventina di anni fa, quando diversi amici e conoscenti la esortarono a scrivere le storie che amava tanto raccontare, soprattutto quelle legate alla sua infanzia. Partendo dalla descrizione di un albero genealogico che lega tra loro vari luoghi, come Genazzano e Subiaco, dove rispettivamente nacquero il nonno e la nonna materni Orazio e Barbara, e anche la Puglia e Napoli che diedero i natali a Pasquale e a Emilia, genitori di Edoardo, l’amato padre di Pina, il racconto entra nel vivo con la descrizione di come, arrivati a Roma per varie vicissitudini, Orazio diventa segretario del comitato dello Iacp per l’assegnazione degli appartamenti. All’epoca abitavano in una camera ammobiliata nei pressi di via Veneto. “Avrebbe potuto scegliersi l’appartamento migliore, come mia nonna lo supplicava di fare” scrive Pina, ma l’integerrimo Orazio decise di dividere con un’altra famiglia un appartamento a Piazza Brin, con grande disappunto di nonna Barbara. Margherita, madre di Pina, nacque lì. Quando poi finalmente fu possibile avere in assegnazione un’altra casa, il nonno lasciò quella di piazza Brin all’altra famiglia e si spostò al lotto 29. Questo però fece la felicità di Pina, che lì nacque e che nel cortile di quel lotto visse la sua infanzia con decine di altri bambini, controllati a vista da tutte le mamme, senza distinzione,” perché i figli erano figli di tutte”.
I ricordi di Pina si intrecciano con quelli dei nonni, e dei genitori, facendo rivivere il quartiere fin dai tempi in cui le strade erano ancora sterrate e passavano i “carri a vino, con un grande mantice rosso e nero, che arrivavano dai Castelli”. E non mancano i riferimenti a luoghi importanti come “la Villetta” che il nonno raccontava essere stata donata al partito Comunista, da Carlo e Filippo Raimondi che l’avevano ereditata dai genitori insieme ad altri terreni che invece vennero loro espropriati, spingendoli a diventare “bracconieri”, tenendo fede alla loro concezione di giustizia sociale.
E tanti sono i personaggi affrescati in queste pagine, come la sora Emma dai capelli rossi e dal carattere forte ma sempre pronta ad aiutare, la Mercantina il cui negozio era il “salotto del lotto” da cui partiva il tam tam di aggiornamento sulle varie vicende di ciascuno, Maria che tutti sapevano facesse la prostituta ma nei cui confronti il giudizio morale della comunità restò sempre sospeso in virtù della necessità scaturita dalla povertà. Erano gli anni ‘50, anni di povertà, appunto, “ma la povertà non era discriminante, perché poveri eravamo tutti e non lo sapevamo”.

Poi ci sono i ritratti dei compagni di gioco, fra cui emerge Guido, l’impavido ragazzino sempre teso a trascinare tutti in nuove avventure, come la “gita proibita” alla marana, sulla sponda del fiume Almone, all’altezza della Cartiera Latina, allora attiva poi chiusa negli anni ‘50 e recentemente di nuovo aperta al pubblico. Quella gita la fecero davvero: scelto un giorno d’estate in cui le donne andavano al mercato, un gruppo di ragazzini e bambine di varia età, tra cui Pina e suo fratello minore, Pasquale detto Lillo, percorse i campi allora sterminati ai loro occhi, fino ad arrivare a buttarsi nelle acque che certo non erano salubri, dato che raccoglievano i rifiuti della cartiera latina nonché gli scarichi delle acque nere della zona. Ma quella emozione è rimasta impressa nei pensieri di Pina, fino ad oggi, e, come scrive, valse la pena della punizione che tutte le madri inflissero col battipanni agli scriteriati partecipanti. Le figure che emergono maggiormente nel racconto sono però quella del nonno Orazio, della cui onestà si è già accennato, e del padre Edoardo, fervente socialista, e attivo partigiano col nome di “Varaldo”, capo GAP della 7^ zona. Dai suoi racconti, Pina seppe che l’archivio del partito socialista era stato conservato sotto al letto matrimoniale dei suoi genitori, ascoltò la descrizione dell’azione che gli valse una medaglia d’argento: l’assalto ad un treno carico di munizioni alla Stazione Ostiense, con decine di soldati tedeschi. E seppe anche che quando il governo gli concesse una pensione proprio per la medaglia ricevuta, lui la rifiutò dicendo “certe idee non hanno prezzo”. Pur essendo nata alla vigilia della liberazione, l’autrice ha quindi vissuto la guerra attraverso i racconti di suo padre.
E scrive che l’eco dell’eccidio delle fosse Ardeatine è rimasto fisicamente nelle orecchie degli abitanti della Garbatella per anni, dopo che in molti, subito dopo la mattanza, si erano avvicinati al luogo dell’orrore, da cui venivano i lamenti dei feriti, quelli seppelliti ancora vivi. L’adorato padre Edoardo morì il giorno in cui Lillo, il fratello di Pina che aveva seguito in politica le orme paterne, venne eletto Presidente della Circoscrizione. “ Arrivavano telefonate di congratulazioni a casa dei miei – ricorda l’autrice – ed io dovevo rispondere che papà era appena morto. Ma questo non l’ho scritto”.
Pina non aveva ambizioni di spacciarsi come scrittrice, ma con questo suo racconto in cui ha fissato soprattutto le sue memorie di bambina degli anni 50 del secolo scorso, ha fatto davvero un bel dono a se stessa e a tutti gli abitanti del suo e nostro amato quartiere.
[Articolo pubblicato sul periodico Cara Garbatella, Anno XVIII – Ottobre 2025/numero 69, pag. 6]








