Il cinema visto da dietro l’obiettivo

Il cinema visto da dietro l’obiettivo

Intervista a Silvio Fraschetti, da assistente operatore a direttore della fotografia.
Figlio d’arte, fin dall’infanzia abita nel nostro quartiere

di Tatiana Della Carità

Luci, motore, azione: Silvio Fraschetti nasce nel 1922 a Via Labicana ed entra in contatto con il magico mondo di celluloide attraverso suo padre Cesare, che operava come macchinista di scena già all’epoca del cinema muto e che partecipò alla realizzazione di “Ben Hur”, …..

Il cinema visto da dietro l’obiettivo

Intervista a Silvio Fraschetti, da assistente operatore a direttore della fotografia.
Figlio d’arte, fin dall’infanzia abita nel nostro quartiere

di Tatiana Della Carità

Luci, motore, azione: Silvio Fraschetti nasce nel 1922 a Via Labicana ed entra in contatto con il magico mondo di celluloide attraverso suo padre Cesare, che operava come macchinista di scena già all’epoca del cinema muto e che partecipò alla realizzazione di “Ben Hur”, primo kolossal della Metro Goldwin Mayer.

Nei racconti di Silvio emergono infatti con nettezza i riferimenti al genitore che tanto gli ha raccontato dell’ambiente cinematografico e che si dedicava ad un lavoro all’epoca particolarmente complicato, a causa delle scarse risorse tecniche. Dunque, Fraschetti si affaccia sulle scene negli anni ’30, con una piccola parte in “Io, suo padre”, pellicola di Mario Bonnard con Erminio Spalla; ben presto, però, si rende conto che il suo futuro si annida dietro le quinte, così nel 1943 esordisce come assistente operatore in “Macario contro Zagomar”, regìa di Giorgio Ferroni, girato al Teatro dell’Opera di Roma.
Ma quelli sono anni infelici, la guerra incombe e porta conseguenze pesanti e naturalmente anche il cinema risente della situazione a dir poco sfavorevole. A tale proposito, Silvio assiste ad un episodio epocale, che ricorda ancora con lucida nitidezza: “…Stavamo girando quando irruppe una donna, gridando che stavano bombardando San Lorenzo.
Allora sono uscito, ho visto i palazzi abbattuti, i cadaveri ed una moltitudine di persone urlanti: scene da Inferno della Divina Commedia …”.
Nel secondo dopoguerra, dopo una  breve parentesi professionale da metalmeccanico, torna alla sua prima mansione di assistente operatore: da qui inizia una vita costellata di esperienze indimenticabili, di aneddoti pittoreschi e di contatti con personaggi che hanno segnato la storia del cinema italiano. Una per tutti, Anna Magnani: il nostro protagonista ha avuto modo di osservarla da vicino sul set di “Camicie Rosse”, nel 1951, e la ricorda dotata di un temperamento deciso, di una presenza scenica incredibilmente incisiva – donatale soprattutto dalla vastissima esperienza teatrale – e capace di mettere in soggezione anche i registi più esigenti.
Dal 1975 al 1982 collabora con il regista Alfonso Brescia, in una serie di film sulla camorra incentrati sulla figura di Mario Merola.
Fraschetti descrive il regista come un uomo gradevole e semplice, nonostante l’enorme successo di pubblico, ma quasi ossessionato dalla passione per il gioco del Lotto. Ma la sua esperienza di maggiore rilievo per il grande schermo è senza dubbio “Cento giorni a Palermo” (1984), lungometraggio diretto da Giuseppe Ferrara – focalizzato sulla storia del generale Dalla Chiesa – alla cui realizzazione ha contribuito, nelle vesti di sceneggiatore e assistente alla regìa, il grande Giuseppe Tornatore. Attualmente Silvio Fraschetti vive alla Garbatella, dove si era già trasferito con i genitori quando era ancora un bambino, e si ritiene decisamente soddisfatto della propria carriera che lo ha portato a diventare direttore della fotografia: ha voglia di raccontarsi e di raccontare le proprie vicissitudini, per far sì che i ricordi di un cinema che ora non c’é più non vadano perse.
Il suo lavoro gli ha regalato innumerevoli soddisfazioni e gli ha dato l’occasione di vivere esperienze memorabili: “… Sono stato molto fortunato – dice, sorridendo – poiché in un periodo in cui le possibilità economiche e tecnologiche erano limitate, io ho avuto l’opportunità di vedere il mondo e di esplorare realtà delle quali non avrei neanche immaginato l’esistenza: da Tokyo a Parigi, da Nairobi alla Berlino divisa, ho scoperto differenze culturali, di pensiero e di abitudini che altrimenti non avrei mai conosciuto.
Prima di andare in Kenya, per esempio, di elefanti ne avevo visti soltanto due allo zoo: lì in un solo giorno ne ho contati centocinquanta …”

 

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 4 – Dicembre 2007

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