Storia e ricordi del mercato di Via Passino

in attesa della riapertura del vecchio edificio

Storia e ricordi del mercato di Via Passino

La struttura storica e i tormentati lavori di ristrutturazione.
Pur essendo un edificio coperto, per gli abitanti era “la Piazza”: oltre che fare la spesa, era un importante luogo di incontro e di socializzazione

di Enrico Recchi

Il mercato della Garbatella tra poco (speriamo) riaprirà nella sede storica di Via Passino, i cui lavori di riqualificazione sono iniziati a seguito del trasferimento nel 2002. Forse pochi …..

in attesa della riapertura del vecchio edificio

Storia e ricordi del mercato di Via Passino

La struttura storica e i tormentati lavori di ristrutturazione.
Pur essendo un edificio coperto, per gli abitanti era “la Piazza”: oltre che fare la spesa, era un importante luogo di incontro e di socializzazione

di Enrico Recchi

Il mercato della Garbatella tra poco (speriamo) riaprirà nella sede storica di Via Passino, i cui lavori di riqualificazione sono iniziati a seguito del trasferimento nel 2002. Forse pochi sanno che gli spazi del mercato di Via Passino nell’idea originaria dell’architetto Sabbatini, uno dei più attivi nell’ideazione e realizzazione degli edifici del nostro quartiere quando nacque a partire dal 1920, avrebbe dovuto accogliere oltre al mercato coperto una palestra ed una piscina. Le cose poi andarono diversamente e il progetto del mercato coperto andò avanti nel dopoguerra con i lavori che iniziarono solo nel 1948. Prima di allora il mercato rionale si svolgeva all’aperto in via Magnaghi, proprio dove venne trasferito temporaneamente quando quello al chiuso subì i primi lavori di ristrutturazione del 1977.
L’edificio venne inaugurato nel 1952, un anno importantissimo per la Garbatella, perché proprio in quello stesso anno venne inaugurata anche la chiesa di San Filippo Neri. La struttura del mercato, che aveva all’inizio una trentina di banchi dove si vendevano generi alimentari (verdura, frutta, carne, pane, pasta, pollame ma anche abbigliamento e scarpe), fu costruita parte in muratura e parte in cemento armato, segno di una mancanza di omogeneità. Probabilmente in fase iniziale si pensò ad uno spazio soltanto recintato e non coperto ma poi in fase di realizzazione si cambiò idea coprendo tutto il mercato e dotandolo di ampi finestroni laterali che consentissero un’adeguata illuminazione e ventilazione.
Dove oggi ci sono gli spazi del Centro sociale “La Strada” c’era il circolo dell’ENAL per le attività dopolavoristiche.
Già alcuni interventi importanti erano stati fatti nei lavori del 1977 che videro l’eliminazione della fontana centrale, l’ampliamento delle superfici di vendita, il miglioramento degli spazi destinati a deposito al piano seminterrato e la realizzazione di due montacarichi per movimentare le merci.

La gente del mercato
In attesa che gli abitanti della Garbatella possano vedere ultimato e riutilizzare di persona il nuovo “vecchio Mercato” , parliamo ora della gente che animava quello spazio.
Tutti quelli che hanno vissuto gli anni in cui la sede storica del mercato era funzionante, sia dal 1948 che dopo il lavori del 1977, si ricordano persone ed episodi di una società assai diversa dall’attuale. Iniziamo col dire che il mercato veniva chiamato nel rione la “Piazza”. Andare al mercato a fare la spesa, ad incontrare gli amici, a prendere il caffè era “andare in Piazza”. Già, perché, assieme ad altri punti di aggregazione sociale, il mercato ovvero la “Piazza” era uno dei punti d’incontro d’eccellenza della gente della Garbatella. Era lì che si faceva la spesa, ma era sempre in “Piazza” che si incontravano i parenti o gli amici, che si parlava della quotidianità, che si discuteva di politica.
Grosso modo tutto gravitava là intorno: il vicino ospedale del CTO, il banco del lotto in Via Odero, la Delegazione comunale in Largo delle Sette Chiese. Un microcosmo di servizi all’interno del quartiere.
Comune denominatore della gente, sia dei venditori che dei clienti, era la semplicità intesa in senso estremamente positivo. Rapporti diretti, franchi, senza giri di parole. Chi non aveva i soldi per pagare poteva “segnare”, ovvero riportare il dovuto in un conto aperto, in attesa che il capofamiglia prendesse la paga settimanale o lo stipendio a fine mese e saldasse il debito. Non c’era di che vergognarsi.
Dentro al mercato c’erano poi i banchi con i loro esercenti. Personaggi “d’una volta”, venditori veraci, generosi, con le loro battute, i loro richiami per attirare i clienti. Da Gina “l’ovara”, venditrice di uova che utilizzava una lampada per vedere se le uova erano fecondate: metteva infatti le uova davanti a una lampada
e controluce verificava che non fossero “ingallate”. Per incartarle ci si portava il giornale da casa. C’era poi Salvatore, venditore di frutta e verdura, un uomo simpatico e generoso. Il suo grido di battaglia era “Abbondante!”: “Quanti spinaci famo signò? Un chilo abbondante?”. Molti erano i venditori che erano anche produttori di quello che esponevano sul banco: infatti, Salvatore si raccomandava ai clienti perché gli riportassero i semi dei meloni che vendeva per poterli seminare. Ancora un’altra Gina che vendeva la biancheria: siccome le possibilità economiche degli abitanti del quartiere erano spesso limitate, la vendita era fatta “a sconto”, ovvero un tanto a settimana o al mese per saldare il dovuto (eventualità quest’ultima che purtroppo sembra tornare d’attualità).
Era il regno della semplicità e della genuinità in tutti i sensi. Un posto dove simpatia, cordialità, disponibilità si potevano avvertire in ogni angolo, il tutto condito dalla forza del dialetto romanesco. Su una delle colonne centrali portanti del mercato si appendevano gli oggetti smarriti in attesa che il proprietario venisse a ricercarli, ed in alto campeggiava il cartello “Chiavi perse”.
E vicino al mercato si passava a fare colazione al bar Moriconi (dove ancora oggi, d’estate, si può gustare uno dei migliori caffè freddi di Roma).

 

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 9 – Luglio 2012

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