Presentato “Ci vediamo a Gaza” di Fabio Giardinetti

Un “viaggio sentimentale” per raccontare la Palestina

L’avevamo lasciato alle prese con una telefonata che gli avrebbe cambiato la vita, affaccendato a organizzare bagagli e biglietti aerei in fretta e furia, affascinato dall’ignoto e in preda all’adrenalina. Marco, il protagonista del racconto “Un cerchio che si chiude”, torna ad essere protagonista di “Ci vediamo a Gaza”, il nuovo romanzo di Fabio Giardinetti. “Con questo romanzo” ha spiegato l’autore nel corso della presentazione del 13 giugno alla Casetta Rossa, “intendo dare seguito al racconto precedente, che si chiudeva con la partenza di Marco. Nel romanzo, Marco arriva a Gaza come reporter per sostituire un collega infortunato. L’idea non è legata ai recenti avvenimenti” ha poi specificato, “anche se dopo il 7 ottobre l’intera vicenda assume tutto un altro significato.”

Marco alla ricerca dei suoi ricordi

In una mattinata nebbiosa e umida inizia il viaggio del fotografo Marco, inviato a Gaza per testimoniare le dure condizioni di vita della popolazione. La scelta di intraprendere il viaggio, un dovere lavorativo che ben presto si trasforma in opportunità, nasce dal bisogno di affrontare un’esperienza intensa, una storia qualunque vissuta fino in fondo per smorzare la monotonia della propria esistenza. Una motivazione prettamente egoistica, dunque, che subito si trasforma in una coinvolgente avventura per la Palestina, a partire dalle sfavillanti città di Israele fino alle lande desolate della Striscia di Gaza. “La storia di Marco” ha puntualizzato l’autore durante la presentazione, “non ha una connotazione politica evidente, è più che altro un viaggio sentimentale.”

Un viaggio che attraversa vent’anni, da quando il giovane Marco, studente universitario militante, decide di partire come volontario per la liberazione di Gaza. Due decenni dopo si trova a ripercorrere gli stessi spazi per motivi professionali, trovando una situazione completamente diversa a causa del conflitto in corso e della connotazione religiosa, estremista, che ha assunto a Gaza la lotta per la liberazione. “Le persone della mia generazione” ha proseguito Fabio Giardinetti, “hanno vissuto una trasformazione radicale. Prima la battaglia era quella per una Gaza rossa, gli stessi militanti erano laici e comunisti. Adesso la guerra ha preso la connotazione religiosa imposta da Hamas.”

Il che implica un confine più labile tra bene e male, ragione e torto. E questo Marco lo sa. Il fotografo si aggira tra accampamenti e presidi ospedalieri, palazzi distrutti e città in continuo pericolo, ma non dà giudizi politici né tanto meno morali, si limita a osservare e registrare i volti, le storie, le scene. Sono moltissimi i monologhi che attraversano il libro. A partire da quelli dei giornalisti dei primi capitoli, mossi dal desiderio di denuncia, fino ai resoconti sconsolati di medici, volontari e abitanti della Striscia. Marco osserva, ascolta, registra. Un po’ come il famoso specchio di Stendhal che, posto in mezzo a una via, riflette tanto il cielo azzurro quanto il fango della strada. Donne ferite, bambini abbandonati a se stessi, perfino lattanti a cui sono precluse le necessarie cure mediche, a causa del blocco dei confini con Israele. Sullo sfondo, due mondi che si scontrano. Il lusso e il comfort dei locali di Tel Aviv, dell’aeroporto Ben Gurion o di Neve Tzedek, il quartiere degli artisti e della movida; un benessere ostentato, secondo il modello occidentale, a cui però fa da contrappunto la miseria al di là del confine. Sarà un riferimento al nostro stile di vita? Un tacito rimprovero a chi pensa che la prosperità sia sinonimo di felicità e, chiudendo gli occhi, ignora la disperazione di chi gli vive proprio accanto? Sicuramente c’è anche questo. “Dobbiamo capire anche noi quali sono le priorità” ha commentato enigmaticamente Giardinetti nel corso della presentazione.

Fabio Giardinetti e Ilaria Giovinazzo
Lo scrittore Fabio Giardinetti con la poetessa Ilaria Giovinazzo alla Casetta Rossa

Ad assumere particolare risalto, poi, è la condizione dei bambini. Non a caso sono i protagonisti della poesia presente nel testo e della scena finale della narrazione. Bambini che, secondo l’autore, sono gli unici a mantenere un cuore puro in mezzo alla devastazione. Li troviamo a cercare libri e lavoretti scolastici tra le macerie, o a giocare con spensieratezza sotto il volo incessante e persecutorio dei droni. “Ma come saranno da adulti questi bambini?” ha riflettuto la poetessa Ilaria Giovinazzo nel corso del pomeriggio, “riusciranno davvero a rifiutare, da adulti, gli orrori della guerra? O ne saranno assuefatti?”

Sono domande che tutti si pongono leggendo i giornali. Ma le risposte non possono venire dai notiziari, dai numeri o dalle fotografie. “Tramite gli articoli di cronaca veniamo a conoscenza di certe storie che sono solo una minima parte delle migliaia di storie individuali che si nascondono dietro un singolo episodio” ha ragionato l’autore il 13 giugno. Un romanzo, dunque, anche per dare spazio a diversi volti della stessa drammatica vicenda, alternando personaggi disparati ma uniti da un’esperienza, almeno esteriormente, comune. Ma si tratta di finzione letteraria, si potrebbe obiettare. Come può un romanzo raccontare gli orrori della vita vera? “Quando in un dramma c’è uno che muore per finzione” scriveva De Filippo in un’opera del 1964, “da qualche parte del mondo c’è uno che muore per davvero.” E nel caso di “Ci vediamo a Gaza”, i morti veri sappiamo tutti dove si trovano.

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