Un incontro alla Villetta sulla strage di Gaza
La testimonianza del diplomatico palestinese Ali Rashid. L’appello congiunto con Moni Ovadia
di Pasquale Navarra
Organizzato da Sinistra Democratica del nostro Municipio, giovedì 22 gennaio, alla “Villetta” di Via Passino 26, si è tenuta un’assemblea …..
Un incontro alla Villetta sulla strage di Gaza
La testimonianza del diplomatico palestinese Ali Rashid. L’appello congiunto con Moni Ovadia
di Pasquale Navarra
Organizzato da Sinistra Democratica del nostro Municipio, giovedì 22 gennaio, alla “Villetta” di Via Passino 26, si è tenuta un’assemblea pubblica sui tragici avvenimenti verificatisi a Gaza per quasi un mese tra dicembre e gennaio. E’ venuto a portare la sua testimonianza Ali Rashid, diplomatico palestinese naturalizzato italiano, già membro dell’Unione generale degli scrittori e giornalisti palestinesi. Dal 1987 Primo segretario della Delegazione generale Palestinese in Italia, nella passata legislatura è stato deputato con Rifondazione Comunista. E’ da tempo impegnato in una indefessa lotta diplomatica per la cessazione del conflitto armato nella questione palestinese e per la conclusione della controversia nel rispetto dei diritti dell’uomo e delle risoluzioni dell’ONU.
Già nel primo contatto con Ali Rashid, si percepisce non soltanto il suo garbo, la positività della sua persona; nel suo modo di esprimersi, persino in quei segni che un occhio attento può vedere in un volto, si può cogliere una sofferenza che non è di un genere che siamo “abituati” a vedere. E’ la sofferenza, benché addomesticata, di un uomo che appartiene ad un popolo oppresso da sessant’anni e per il quale una parte del mondo vorrebbe che la privazione della libertà fosse irreversibile.
Il nostro quartiere non si è certo mostrato insensibile a questo incontro: sono infatti convenuti molti cittadini. Natale Di Schiena, segretario della sezione, ha svolto un’introduzione in cui ha ricordato alcune fasi dell’orrendo attacco militare perpetrato dall’esercito israeliano a Gaza, nonché lo squallido atteggiamento tenuto dal governo italiano e la conseguente censura operata da televisioni e giornali. Ali Rashid ha poi aperto il suo intervento proprio denunciando il fatto che i media, oscurando le immagini e i filmati del massacro della popolazione civile di Gaza, hanno dato un’immagine dell’Italia lontana da quella reale: la grande maggioranza degli italiani, infatti, è stata, è solidale con la popolazione di Gaza.
Anche l’intimidazione, il tentativo di censura, operato nei confronti di Michele Santoro (“reo” di aver mostrato, nella trasmissione “Anno Zero”, ciò che a Gaza stava realmente avvenendo) è chiaramente un atto estraneo alla coscienza comune esistente nel nostro Paese. Che il nostro Paese è ben altro, lo si è visto anche sabato 17 gennaio, a Roma, alla manifestazione nazionale di solidarietà per la Palestina. Chi scrive, era presente a quella manifestazione, alla quale gli italiani hanno partecipato numerosi ed hanno sventolato la bandiera palestinese sentendola come la loro bandiera.
Tutto ciò ravviva la convinzione che in certi momenti, di noi italiani emerge l’anima migliore, la nostra storia più bella, che ci ricorda che non è un caso se siamo il Paese di Garibaldi.
Nel suo intervento, Ali Rashid ha ricordato che, finché non ci sarà uno Stato palestinese, l’intera questione mediorientale non potrà essere risolta.
Ha ricordato che uno Stato, Israele, si espande sempre di più, con la frequente creazione di nuovi insediamenti, naturalmente a danno di un popolo il cui Stato non è mai nato e le cui condizioni peggiorano costantemente. Si è ricordato anche che allo Stato di Israele non si intende certo negare il diritto all’esistenza ma, al fine di permettere la nascita di uno Stato per i palestinesi, Israele dovrebbe tornare ai confini esistenti prima della guerra del 1967, il cui risultato fu l’occupazione, da parte di Israele, di Gerusalemme Est, della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e della penisola del Sinai. Ma l’attuale leadership israeliana è su posizioni ben diverse: infatti crescono le discriminazioni nei confronti della componente palestinese, araba e musulmana, dello Stato d’Israele. E Tzipi Livni – ex ministro degli Esteri israeliano – ha recentemente dichiarato quello che sarebbe un “progetto guida” del suo governo: la progressiva espulsione dei palestinesi e di tutti i musulmani dal territorio dello Stato israeliano – che diverrebbe dunque Stato Ebraico in toto – ed una ulteriore appropriazione di territorio tramite l’intensificazione di nuovi insediamenti ebraici. Si è ricordato che il bombardamento indiscriminato operato su Gaza non era certamente “inevitabile”, dato che gli israeliani avevano le coordinate di ogni metro della città. Non si è quindi trattato di un conflitto tra due eserciti o tra un esercito e un gruppo di terroristi, bensì di una tragedia in cui vi sono stati carnefici e vittime. Molte vittime. Quelle donne, quei bambini, quegli uomini inermi di Gaza uccisi o gravemente feriti da bombe al fosforo e altri micidiali ordigni. Nell’ospedale di Gaza, dei medici europei sopraggiunti con organizzazioni umanitarie, non sapevano come curare molti di quei feriti, talmente devastante è l’effetto di quelle bombe.
E’ stato poi ricordato l’appello congiunto di Ali Rashid e Moni Ovadia, steso il 9 gennaio, quando il massacro di Gaza era ancora in corso. Ne riportiamo qui alcuni punti: Le immagini che giungono da Gaza ci parlano di una tragedia di dimensioni immani e le parole non bastano per esprimere la nostra indignazione.
Col passare dei giorni cresce la barbarie che insieme alla vita, alle abitazioni, agli affetti, ai luoghi della cultura e della memoria, distrugge in tutti noi l’umanità e con essa il sogno e la speranza. E deforma in noi il buon senso, mortifica la cultura del diritto, forgiata dalle tragedie del secolo passato per prevenirne la ripetizione.
Così diventano carta straccia le convenzioni internazionali e le norme basilari del diritto internazionale nonché le sue istituzioni, paralizzate dai veti e svuotate di autorevolezza oltre che di strumenti per l’agire. Noi sappiamo che l’occupazione genera resistenza, la guerra rafforza il terrorismo, la violenza cambia le persone e i fondamentalismi si alimentano reciprocamente. Ma abbiamo anche imparato in tutti questi anni che gli obiettivi di pace, sicurezza e prosperità non passano attraverso l’uso della forza delle armi, ma attraverso l’adozione di scelte accettabili per entrambe le parti in causa e l’avvio di un processo di riconoscimento reciproco, del dolore dell’altro in primo luogo, che è il primo passo verso la riconciliazione.
Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 6 – Marzo 2009