La storia di Silvio Tavoloni. Finì in galera per le offese al Duce

Era andato nella sede del gruppo rionale fascista, alla Villetta di via Passino, per chiedere un sussidio

di Giorgio Guidoni

Era sufficiente una parolaccia. Una caricatura, una rima a doppio senso, una pernacchia. Durante il ventennio della dittatura bastava pronunciare un epiteto sopra le righe nei confronti del Duce del fascismo per ritrovarsi in guai seri e trascorrere qualche mese in gattabuia. Nel 1925 Mussolini aveva introdotto il reato di “Offesa al Duce”, che puniva chiunque avesse offeso il capo del Governo con la reclusione da sei a trenta mesi e con una multa salatissima. Nel 1930 la detenzione passò da uno a cinque anni e nel 1941 il reato fu inserito nel Codice Militare di pace che prevedeva la pena della carcerazione da tre a dodici anni. Anche a Garbatella ci fu chi, per una parola di troppo, incappò in una disavventura di questo tipo.

Silvio Tavoloni e la moglie Ines Catenacci

Nel 1942 l’Italia era in guerra da due anni e l’inverno era particolarmente rigido. Silvio Tavoloni, classe 1890, abitava in via Luigi Fincati 13, al lotto 8, con la moglie Ines e la figlia Luciana, mentre l’altro figlio Renato era stato richiamato alle armi. Reduce e invalido della Grande Guerra, lavorava per le Ferrovie italiane come pulitore di vagoni letto, impiego che assicurava alla famiglia una condizione economica dignitosa. A luglio di quell’anno, tuttavia, subì un grave incidente che lo rese inabile al lavoro: un investimento tramviario gli aveva causato l’amputazione di nove dita dei piedi e la conseguente perdita dell’impiego e dello stipendio.

Quale invalido di guerra percepiva una piccola pensione ed era in attesa di un indennizzo da parte dell’Atag (Azienda Tramvie del Governatorato dell’epoca) per l’incidente subito. In quel momento particolarmente critico le entrate non erano più sufficienti per vivere dignitosamente e Silvio, che inoltre non era ancora guarito dalle lesioni riportate nell’incidente, era alla ricerca di un aiuto economico. A novembre del 1942 un conoscente gli aveva ventilato la possibilità di ottenere un sussidio: “Vai domani alla casa dal Fascio (la casa colonica in via Passino meglio nota come “La Villetta”, ndr), ci sarà il Fiduciario (1) che ascolterà le tue richieste e forse ti potrà aiutare.”Intorno alle 20.00 dell’11 novembre, pieno di speranza, Silvio si recò all’appuntamento per scoprire però che il Fiduciario non era presente: “Prova a ripassare domani alla stessa ora” gli era stato riferito sul posto.

Scheda di ingresso a Regina Coeli

Uscendo dalla Villetta per tornare a casa udì vari gerarchi fascisti inneggiare al Duce e lui, forse infastidito dal mancato incontro, si lasciò scappare qualche parola di troppo. Questo era ciò che raccontò alla moglie Ines e a Luciana. Il giorno dopo gli eventi precipitarono. A seguito di una solerte denuncia sporta da due donne fasciste, la Vice Segretaria Rionale Lucrezia Sardella e la Visitatrice (2) Maria Borganzoni, Silvio Tavoloni  fu arrestato e condotto alla caserma Mussolini (3).

Il verbale di denuncia (che riporta anche il timbro in colore rosso “VISTO DAL DUCE”) afferma “… l’individuo in oggetto, nell’uscire dalla sede del Gruppo stesso, dove si era recato per chiedere un sussidio, veniva udito pronunziare le seguenti frasi in risposta alle invocazioni “Duce, Duce” dei gerarchi: «Li mortacci sui, ci fa morire di fame, che lo potessero ammazzare, sto paraculo.» Silvio Tavoloni ammetterà di essersi recato nei locali del Gruppo Rionale, ma negherà di aver pronunciato le offese al Duce. Dopo un primo periodo di permanenza alla caserma Mussolini fu trasferito a Regina Coeli il 2 febbraio 1943 in attesa di processo. La moglie Ines ne chiese varie volte la scarcerazione per motivi di salute, senza successo. Fortunatamente il Tribunale Speciale non diede l’autorizzazione al processo e decretò la scarcerazione di Silvio il 4 aprile 1943.Al suo ritorno a casa egli non dimenticò la disavventura, che negli anni successivi continuò a raccontare con dovizia di particolari a familiari e amici.

Scheda di uscita da Regina Coeli

Grazie a due suoi nipoti, Luciano e Daniele detto Sandro, siamo venuti a conoscenza di questa storia, che abbiamo avuto la possibilità di ricostruire nei particolari.

  1. La struttura organizzativa del Partito Nazionale Fascista-PNF era basata sulle federazioni provinciali, le quali coordinavano e dirigevano il lavoro dei gruppi rionali o sezioni. Il Gruppo rionale aveva giurisdizione su un quartiere cittadino o su un comune o gruppi di piccoli comuni. Il Fiduciario rionale era il “gerarca” – com’era comunemente chiamato durante il fascismo – che dirigeva l’attività del Gruppo. I gruppi rionali disponevano di sedi autonome. Molte erano ex Case del popolo requisite alle organizzazioni di sinistra dopo l’avvento del Regime. A Garbatella la sede del Gruppo rionale si trovava alla Villetta in via Passino, 26
  2. «Le Visitatrici sono donne fasciste di particolare attitudine, che in ciascun settore, e nucleo del Fascio di combattimento a cui appartengono, visitano le famiglie bisognose a scopo di assistenza morale e materiale, con speciale cura per ciò che riguarda la maternità ed infanzia, riferendo periodicamente alla Segretaria del Fascio dalla quale dipendono.» (fonte: Partito nazionale fascista. Fascista. Il primo libro del fascista. Anno XVI dell’E.F. 1937-1938)
    Le Visitatrici erano donne che possedevano un’accurata conoscenza delle singole situazioni di disagio sociale delle famiglie. A loro spettava una mansione fondamentale,quella di raccogliere informazioni economiche e morali sui richiedenti assistenza.
  3. La caserma Mussolini si trovava a Roma in via Baiamonti 6. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale prenderà il nome di Caserma Montezemolo per diventare sede del Comando della Seconda Regione Aerea dell’ AeronauticaMilitare. Oggi è la sede della Corte dei Conti.
Denuncia con il visto del duce
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