Affollatissima Assemblea al Centro Anziani Granai di Nerva
di Eraldo SACCINTO
C’è preoccupazione e sconcerto a Roma 70 dopo l’approvazione della nuova delibera comunale dello scorso ottobre sull’affrancazione degli immobili costruiti in regime di edilizia convenzionata, legge 167/62. Infatti la procedura amministrativa prevista dal Comune di Roma per rimuovere il vincolo di prezzo massimo di cessione degli appartamenti, contenuto nelle convenzioni originarie, non è per niente chiara e di facile applicazione. Per questo il Comitato di quartiere di Grottaperfetta ha organizzato domenica 18 novembre, al Centro Anziani Granai di Nerva, un’ assemblea pubblica avvalendosi delle spiegazioni di Rosa Muscente, consulente del settore. Le sale dove si è tenuta l’iniziativa erano affollate all’inverosimile, nel tentativo di capire quale sarà il futuro delle
case costruite all’epoca dalle 80 cooperative di tutto il comprensorio ( Rinnovamento, Scer, Roma 70, Sogno e altre ) alla luce del nuovo provvedimento.
Una vicenda che risale agli anni Settanta, centinaia di case edificate grazie alla legge 167 costruite per chi aveva redditi bassi. Gli alloggi furono venduti a prezzo calmierato in quanto i costruttori beneficiavano di contributi a fondo perduto. Tra gli obblighi da rispettare, per la futura vendita, le convenzioni prevedevano quello temporale dei cinque anni dal primo acquisto e/o del prezzo massimo di cessione oltre il quale il bene non poteva essere rivenduto. A Roma invece gli uffici comunali hanno sempre rilasciato i nulla osta alla vendita dopo i cinque anni di vincolo e gli immobili di fatto sono stati venduti a prezzo di mercato. Ma nel settembre 2015, la Corte di Cassazione, con la sentenza 18135, recepisce il contenuto della legge 106/11 e stabilisce che il vincolo
del prezzo delle cessioni successive alla prima può essere rimosso solo col pagamento di una imposta di affrancazione.
Un fulmine a ciel sereno e il Comune deve correre urgentemente ai ripari. Due direttive commissariali del 2015 e 2016, sono emanate per ripristinare la regolarità. Norme che, dato l’elevato numero degli immobili, circa 400 mila in tutta la città, non sono di facile attuazione. La macchinosità blocca le compravendite e genera una situazione caotica, che rivela i limiti di un’amministrazione impreparata e investe le aule del Tribunale con centinaia di cause. Si scatenano, infatti, i nuovi proprietari che richiedono la differenza tra il prezzo di mercato pagato e quello massimo di cessione, cifre che variano dai 100 mila fino a oltre i 300 mila euro. Senza considerare che, chi ha comprato casa in seconda battuta e poi l’ha rivenduta, si ritrova nella situazione
paradossale di subire una richiesta di risarcimento senza poter rivendicare alcunché a causa dell’avvenuta prescrizione (10 anni). Questo bailamme dura fino all’aprile di quest’anno, quando un’ordinanza del tribunale di Roma sancisce l’uso della sola affrancazione come soluzione delle controversie. Il Campidoglio, nel frattempo, riesce finalmente a dare il via all’iter per l’adozione della delibera sulle affrancazioni, la 116 del 23 ottobre. Sin qui la storia, ma dalle domande della platea agli organizzatori, riguardanti calcoli e tecnicismi, si è capito che le soluzioni previste non sembrano essere risolutive. Il livello di soglia, ad esempio, la tassa per l’avvio della pratica e commisurata al valore dell’immobile, è fissato ad una quota forfettaria di 2.500 euro da pagare anche
nel caso in cui l’importo sia inferiore.
È stata sottolineata, inoltre, la farraginosità dei metodi di calcolo, ancora complicati, e come possa rivalersi chi ha pagato con i vecchi criteri e scopre che gli importi attualmente richiesti sono più bassi. L’evidenza più vistosa però è quella dell’esasperante lentezza nello smaltimento delle istanze fin qui presentate, evase solo nell’ordine del 10 per cento, e delle risorse messe a disposizione dall’amministrazione che sono scarsissime.
È del 27 novembre l’approvazione in Senato dell’ emendamento M5S “salva famiglie” al decreto legge fiscale, che consentirebbe a migliaia di venditori di essere liberati dall’incubo di dover sborsare somme fino a 300 mila euro, ovvero la differenza tra il prezzo massimo consentito e quello di mercato. In attesa che tale emendamento venga approvato anche alla Camera dei Deputati al Comitato venditori 18135 tirano un sospiro di sollievo.





