Ancora uno sgombero di un palazzo dissestato

Evacuate 52 famiglie in via della Villa di Lucina

Ancora uno sgombero di un palazzo dissestato

di Cosmo Barbato

La notizia è drammatica ma non inusuale. Alla garbatella, nel tardo pomeriggio del 19 novembre, in Via della Villa di Lucina 26 sono state evacuate in fretta 52 famiglie da uno stabile da tempo tenuto sotto osservazione per manifesti segni di dissesto. I Vigili del fuoco, chiamati perché c’erano porte che non si aprivano e per il distacco di calcinacci, avevano giudicato l’edificio pericolante e ne avevano disposto l’immediato sgombero. La dolorosa operazione, non del tutto inattesa ma comunque sopravvenuta con imprevista urgenza, è stata …..

Evacuate 52 famiglie in via della Villa di Lucina

Ancora uno sgombero di un palazzo dissestato

di Cosmo Barbato

La notizia è drammatica ma non inusuale. Alla garbatella, nel tardo pomeriggio del 19 novembre, in Via della Villa di Lucina 26 sono state evacuate in fretta 52 famiglie da uno stabile da tempo tenuto sotto osservazione per manifesti segni di dissesto.Mahatma
I Vigili del fuoco, chiamati perché c’erano porte che non si aprivano e per il distacco di calcinacci, avevano giudicato l’edificio pericolante e ne avevano disposto l’immediato sgombero. La dolorosa operazione, non del tutto inattesa ma comunque sopravvenuta con imprevista urgenza, è stata condotta con la partecipazione dell’assessore all’urbanistica del Comune, Roberto Morassut, e del presidente del Municipio, Massimiliano smeriglio, i quali, oltre a garantire un’assistenza abitativa di emergenza, hanno anche riproposto l’interessamento del Comune nel risanamento dello stabile dissestato.
Parlavamo di notizia non inusuale. Il dissesto di quell’edificio è infatti solo l’ultimo dei tanti che hanno colpito, in modo talvolta irreparabile, vari fabbricati costruiti in diverse zone della Garbatella e del Municipio XI tra la fine degli anni 50 e 60, negli anni cioè di quello che fu definito “il secondo sacco di Roma” operato da palazzinari senza scrupoli che agirono impunemente, giovandosi dell’omertà e talvolta della compiacenza delle amministrazioni comunali.
Ma veniamo a noi, innanzitutto localizzando le aree dove si sono verificati i dissesti che in alcuni casi hanno comportato l’abbattimento di interi palazzi. Una delle “zone molli” dove si sono registrati gli episodi di maggiore gravità è proprio quella di Via della Villa di Lucina, con tutte le strade vicine: Viale Giustiniano, Via Costantino, Via Tito, Via Galba, Via Alessandro Severo. Un’altra “zona molle”, questa in ambito tormarancia, si trova intorno a Piazza Lotto e riguarda un tratto di Via Sartorio, l’ultimo tratto di Viale di Tormarancia e le vie Belloni, Caffi, Arcioni, Sorbi. Una terza area a rischio è quella che si svolge tra la Circonvallazione Ostiense e la linea delle Ferrovie dello Stato: comprende Piazza Giovanni da Verrazzano, Via della Moletta, Piazza Pecile, Via Pigafetta, Via Benzoni, Via Alpino, Via Capitan Bavastro, Via Usodimare, Via Traversi, Via Citerni, Via Candeo, Via Ciamarra e qualche altra strada minore.
In tutti e tre i casi, dal punto di vista geologico la causa dei dissesti è dovuta alla azione di altrettanti corsi d’acqua o marrane che fino a pochi decenni fa scorrevano verso il Tevere a cielo aperto e che ora sono stati immessi in condotti sotterranei. Per spiegare perché da noi si sono formate queste tre “zone molli” dovremo fare un primo passo indietro di almeno quattrocentomila anni, quando tutta una vasta zona del Lazio centrale fu sconvolta dall’insorgenza dell’enorme Vulcano Laziale, del quale Monte Cavo e i laghi di Albano e di Nemi sono piccole testimonianze. Per millenni e in fasi successive il vulcano eruttò miliardi di metri cubi di detriti roventi che formarono le rocce piroclastiche, cioè i tufi, che ricoprirono le preesistenti compatte argille grigie plioceniche su un immenso territorio di cui Roma e il circondario sono solo un piccolo settore. La lava basaltica invece, eruttata in tempi successivi, non raggiunse il territorio di Roma: l’ultimo lembo si arrestò (e si può ancora vedere) all’altezza della tomba di Cecilia Metella sull’Appia Antica.
Questa immensa coltre tufacea, spessa a seconda delle zone fino a 60-70 metri e anche più, nel tempo fu profondamente incisa in più punti da corsi d’acqua che, provenienti da una quantità di piccole e medie sorgenti che si andarono formando, si indirizzavano verso il Tevere. Lentamente il territorio si sagomò con una successione di larghi fondi valle paludosi che dividevano settori della coltre tufacea. Questi ultimi, separati tra di loro dai corsi d’acqua, finirono con l’apparire come scoscese colline. Si formarono così i sette colli di Roma. Partendo da quelli più prossimi a noi, troviamo il Campidoglio separato dal Palatino dalla Valle del Velabro, il Palatino separato dall’Aventino dalla Valle Murcia (l’area del Circo Massimo). Analogamente l’Aventino è separato dalla Garbatella dalla Valle dell’Almone e la Garbatella dalla Montagnola dalla Marrana di Grottaperfetta. Questi fiumicelli per secoli hanno sì inciso profondamente i tufi, ma hanno anche accumulato lungo i loro larghi letti residui incoerenti, detriti alluvionali, sabbie, torbe, materiali “molli”. Quando poi sono stati intubati, a quei terreni è venuto meno anche il sostegno della pressione dell’acqua di infiltrazione. Costruire su quei terreni è molto rischioso a meno che le fondazioni non raggiungano le compatte argille grigie che costituiscono il fondo originario. Dove invece non era stata intaccata la spessa coltre dei tufi non esistono problemi: la maggior parte della Garbatella storica, costruita sui cosiddetti Colli di San Paolo, è infatti ben piantata. Ma l’ingordigia di costruttori senza scrupoli in molti casi al limite dell’irresponsabilità, complici controllori pubblici infingardi, spalmarono quelle “zone molli” di palazzoni e di palazzine che avevano piedi fragili. Alcuni di quegli edifici dovettero essere abbattuti (toccò perfino a una parrocchia e a un paio di palazzi dell’Iacp); molti sono stati consolidati a caro prezzo e quasi sempre a spese degli incolpevoli acquirenti dopo che i costruttori erano “svaniti”; alcuni sono ancora in attesa di interventi di risanamento. Abbiamo citato una serie di strade dove, nelle “zone molli”, le case hanno subìto dissesti. Precisiamo che vi hanno operato anche molti costruttori onesti, che non hanno lesinato ferro, cemento e adeguate palificazioni, andando a posare in profondità le fondazioni degli edifici: per fortuna sono la maggioranza. Alla comunità resta l’onere, anche a distanza di tanti anni, di soccorrere i malcapitati residenti che hanno dovuto lasciare provvisoriamente o definitivamente le loro abitazioni. Compete anche di risanare tantissime strade che, poggiate su quei terreni “molli”, lentamente sprofondano, creando dislivelli con i marciapiedi e con gli ingressi di portoni e negozi. Il caso più eclatante è in Via Capitan Bavastro, dove la strada in un punto è scesa addirittura di 160 centimetri, tant’è che, per raggiungere il livello dei portoni, si sono dovute improntare delle scalette.
Dire che, nel caso di Via della Villa di Lucina e delle altre zone sinistrate, la responsabilità dei cedimenti sia da attribuire alla instabilità dei terreni è una bugia, anzi un’ipocrisia. Infatti anche in quelle “zone molli” i fabbricati costruiti a regola d’arte non hanno registrato dissesti. La responsabilità dunque è esclusivamente di quei costruttori che, sulla pelle della gente, hanno voluto risparmiare. E ancor più delle autorità capitoline che, in quegli anni di speculazione selvaggia, non hanno voluto vedere lo scempio che veniva consumato a danno della città.

 

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 1 – Dicembre 2004

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