Tor Marancia in guardia da più di ottocento anni
Il nome deriva forse da un Amaranthus, antico proprietario della tenuta. Preziosi reperti dalla villa romana dei Numisi. Le torri semaforiche e quelle giurisdizionali della campagna romana. La contrastata costituzione in parco
di Cosmo Barbato
Sono più di ottocento anni che quella torre fa la guardia sul suo territorio di pertinenza, oggi per una buona fetta faticosamente costituito in parco e in parte urbanizzato. Ci riferiamo alla Tor Marancia, che svetta in cima a una collinetta adiacente all’omonimo viale dirimpettaio della Garbatella. Aveva intorno a sé tre o quattro sorelle minori da tempo scomparse. …..
Tor Marancia in guardia da più di ottocento anni
Il nome deriva forse da un Amaranthus, antico proprietario della tenuta. Preziosi reperti dalla villa romana dei Numisi. Le torri semaforiche e quelle giurisdizionali della campagna romana. La contrastata costituzione in parco
di Cosmo Barbato
Sono più di ottocento anni che quella torre fa la guardia sul suo territorio di pertinenza, oggi per una buona fetta faticosamente costituito in parco e in parte urbanizzato. Ci riferiamo alla Tor Marancia, che svetta in cima a una collinetta adiacente all’omonimo viale dirimpettaio della Garbatella. Aveva intorno a sé tre o quattro sorelle minori da tempo scomparse.
Vigilava su una tenuta che si estendeva fino a un paio di secoli fa per 232 ettari.
Le torri sono una caratteristica della campagna romana, che ne conta alcune centinaia. Hanno origine da quelle costiere che avevano il compito di avvistare tempestivamente le scorrerie saracene, dopo il sacco delle basiliche di San Pietro e di San Paolo avvenuto nell’agosto dell’846.
Le torri erette all’interno del territorio romano avevano la funzione di ritrasmettere alla città l’eventuale allarme, di notte per mezzo di fuochi e di giorno per mezzo di fumi: erano cioè torri semaforiche. A queste ben presto si affiancarono una pleiade di torri giurisdizionali, la cui funzione precipua era quella di marcare le proprietà terriere della nobiltà romana e degli enti religiosi. La nostra torre – base quadrata di sei metri, altezza 15 – fu eretta nel XIII secolo quasi certamente dai Conti di Tuscolo.
Seguirono vari proprietari: i Tebaldi, i Bottoni, i Leni, l’ospedale del Salvatore (l’odierno San Giovanni). Sotto Nicolò V (1447-1455) la torre subì un restauro, documentato da una lapidina oggi sparita, recante il curioso monogramma di quel papa: PPNV, cioè Papa Nicolò V. Ma i romani interpretarono satiricamente quella sigla, apposta su tutte le opere fatte eseguire da Nicolò V, in Poco Pane Niente Vino, alludendo al suo esasperato fiscalismo.
Resta un mistero l’origine del nome Marancia attribuito alla nostra torre. Si è pensato che possa derivare dal colore rossiccio dei blocchetti di tufo da cui è costituita, idea scartata per preferirne una più improbabile che attribuisce l’appellativo ad un fantomatico liberto di nome Amaranthus, che sarebbe subentrato ai più antichi proprietari della tenuta, la famiglia senatoria dei Numisi, che nel secondo-terzo secolo d.C. possedette in loco una sontuosa villa.
Sarebbe stata dunque la “tenuta amaranziana” a trasmettere il nome alla torre. Ma sembra strano che possa essersi conservato per tanto tempo, cioè fino al 1200 quando la torre fu eretta, il ricordo dell’ipotetico nome antico della tenuta, trasmesso poi alla torre, la quale del resto nella cartografia antica è indicata come Tor delle Vigne (a meno che con questo nome non si indichi, sempre nella tenuta, un’altra torre crollata di cui restano solo le fondazioni).
Agli inizi del 1800 acquistò la tenuta una nobildonna appassionata di antichità, Marianna di Savoia contessa di Chablais, figlia di Vittorio Amedeo III re di Sardegna, su consiglio dell’archeologo romano Luigi Biondi. Questi sapeva che il territorio posto a destra dell’Ardeatina abbondava di resti archeologici. La tenuta era comunque un buon affare dal punto di vista agricolo e inoltre, data la natura del terreno, utilmente sfruttabile per l’estrazione del tufo e della pozzolana.
Nel 1816 la contessa pose mano a uno scavo intensissimo i cui risultati superarono le attese. Fu localizzata una sontuosa villa di origine tardo-repubblicana ma ampliata in età imperiale, appartenuta in quest’epoca alla famiglia dei Numisi. Dalla villa la contessa ricavò preziosi reperti, in seguito donati ai Musei Vaticani, dove in buona parte sono esposti nella Galleria dei candelabri.
Altri resti furono rinvenuti e lasciati nell’area dell’attuale Istituto San Michele; una ventina di epigrafi sono tutt’ora murate nel cortile di Palazzo Guglielmi, in Piazza dell’Enciclopedia Treccani, all’Argentina, dimora cittadina della contessa di Chablais. L’ampliamento della cava di pozzolana purtroppo comportò il crollo quasi totale dei resti della villa, le cui parti superstiti sono state rivisitate nel 1990, in previsione di un progetto di urbanizzazione dell’area, per fortuna in seguito non realizzato.
Della tenuta faceva parte anche quello che era stato l’antico praedium Flaviorum, un possedimento della Gente Flavia, la famiglia di Vespasiano e di Domiziano. Qui avvenne la scoperta più clamorosa, l’area sepolcrale che comprende la Catacomba di Domitilla, la più estesa di Roma, con la basilica dei martiri Nèreo e Achìlleo, la memoria di Santa Petronilla, l’ipogeo pagano-cristiano dei Flavi. Lo studio di questa zona così importante cominciò soltanto nel 1854 ad opera del grande archeologo G.B.De Rossi, mentre lo scavo sistematico avvenne più tardi, quando la tenuta fu acquistata dal potente proministro delle armi pontificie mons. Saverio De Mérode, belga, divenuto sotto Pio IX uno dei più grossi proprietari fondiari di Roma. Nel caso della tenuta di Tor Marancia l’opera del De Mérode non fu solo speculativa: sta di fatto che il suo intervento contribuì ad acquisire e tramandare un vasto patrimonio culturale, artistico e storico.
La tenuta di Tor Marancia può ancora rivelare sorprese. Una potrebbe essere un ipogeo celato nell’ambito del Liceo di Via delle Sette Chiese 259. Negli anni ’70, allorché si gettavano le fondazioni dell’edificio, fu scoperto un ampio sepolcreto a colombario. Ci fu un tempestivo intervento del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, il quale si limitò a costatare che si trattava di sepolture pagane non rientranti nelle sue competenze. Ci si limitò a spostare leggermente la collocazione dell’edificio, fu creata una botola per accedere all’ipogeo, furono messi i lucchetti e da quel tempo il sepolcreto è rimasto inesplorato, né risulta registrato alla Soprintendenza.
Per concludere, non si può non ricordare Shangai, la malsana borgata di baracche che si era formata a partire dagli anni Trenta in una zona depressa e paludosa della tenuta di Tor Marancia, un vero inferno di poveri diseredati, assediati dalle continue esondazioni del Fosso di Tor Carbone che l’attraversa. La zona fu bonificata nel corso degli anni ’50 del secolo scorso. Al suo posto furono costruiti edifici, alcuni dei quali nel tempo hanno rivelato gravi problemi di stabilità perché insufficientemente fondati su un terreno alluvionale molle e non consolidato.
Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 4 – Luglio 2007