Settant’anni fa la strage delle Fosse Ardeatine
Tra i 335 martiri del furore nazista, tre cittadini della Garbatella: i fratelli Giuseppe e Francesco Cinelli ed Enrico Mancini
di Giancarlo Proietti
Il 24 marzo di settanta anni fa, a poche centinaia di metri dai confini del nostro quartiere, si consumava una delle pagine più tragiche della Resistenza romana: una strage nazista ordinata come rappresaglia all’attentato partigiano di Via Rasella, in cui il giorno prima avevano perso la vita 33 soldati tedeschi.
Settant’anni fa la strage delle Fosse Ardeatine
Tra i 335 martiri del furore nazista, tre cittadini della Garbatella: i fratelli Giuseppe e Francesco Cinelli ed Enrico Mancini
di Giancarlo Proietti
Il 24 marzo di settanta anni fa, a poche centinaia di metri dai confini del nostro quartiere, si consumava una delle pagine più tragiche della Resistenza romana: una strage nazista ordinata come rappresaglia all’attentato partigiano di Via Rasella, in cui il giorno prima avevano perso la vita 33 soldati tedeschi.
335 persone di vari ceti sociali, di tutte le età e anche un sacerdote venivano trucidate e gettate in una fossa comune, che altro non era che una vecchia cava di pozzolana vicino
all’antica Via Ardeatina. Poi il crollo delle volte della cava, causato dall’esplosione di più cariche di dinamite, davano una ignobile sepoltura a quei corpi ammassati in quella fossa.
Nel libro “La terrazza sulla Garbatella” Adelio Canali, allora poco più che un ragazzo, ci racconta in maniera minuziosa il ricordo di quella sciagurata giornata: “Verso le 16 di quel pomeriggio un improvviso boato ci fece sobbalzare. Ormai eravamo abituati ai bombardamenti aerei, ma guardando in alto non si vedevano velivoli, tanto meno se ne udiva il consueto, sinistro rombo.
Neanche il tempo di riprenderci che un secondo e terzo boato, molto più forte ci fecero voltare di scatto. Nei giorni successivi cominciarono a trapelare le prime notizie dell’eccidio e sui tentativi dei tedeschi di chiudere l’ingresso delle cave, prima col lavoro di giovani rastrellati, poi col brillamento di tre cariche di tritolo”. Tra le vittime, c’erano tre abitanti della Garbatella, colpevoli di aver avuto come valore della loro esistenza l’antifascismo e l’amore per la libertà: i fratelli Francesco e Giuseppe Cinelli ed Enrico Mancini.
Enrico Mancini, dopo aver frequentato le elementari, aveva prematuramente lasciato lo studio per lavorare.
Da apprendista falegname aveva mostrato grandi capacità fino a diventare un ricercato ebanista. Alla fine degli anni Venti il rifiuto di indossare la camicia nera gli costò l’incendio del suo laboratorio. Gli venne assegnata una casa di due stanze in Via Percoto, al Lotto 43. Nel 1942 aderì al Partito d’azione. Dall’8 settembre del 1943 prestò un’intensa attività in vari campi d’azione del fronte clandestino, in particolare in quello dei collegamenti tra Roma e l’esterno, all’interno del gruppo “Giustizia e Libertà”. Fu arrestato il 7 marzo del 1944 nel suo ufficio, dove svolgeva una nuova attività di commerciante di prodotti agricoli.
Trasferito alla Pensione Oltremare vicino alla stazione Termini fu torturato e successivamente trasferito alla Pensione Iccarino: due tristi luoghi di sofferenza gestiti da fascisti italiani.
Il 18 marzo fu rinchiuso nel terzo braccio di Regina Coeli in attesa di processo. Fu prelevato dal carcere il pomeriggio del 24 marzo e trasportato alle Fosse Ardeatine insieme ad altri detenuti , verso quell’ultimo e tremendo viaggio. Muore trucidato all’età di 47 anni.
I Fratelli Cinelli abitavano originariamente al quartiere Salario, ma presto dovettero vendere casa a causa delle continue molestie e pressioni da parte dei fascisti. Agli inizi degli anni Trenta fu assegnata alla madre Ludovina una casa popolare alla Garbatella, in Via Antonio Rubino.
Francesco era dipendente della Romana Gas. In quella realtà lavorativa molti operai erano coinvolti nella lotta per la liberazione di Roma.
Nelle officine della Romana Gas si costruivano quelli che venivano chiamati “chiodi a tre punte”, destinati a squarciare i pneumatici degli automezzi delle truppe d’occupazione. Si
fabbricavano ordigni rudimentali, tra l’altro anche quello usato nell’attentato di Via Rasella.
Giuseppe Cinelli all’inizio seguì le orme del padre, che era un artigiano calzolaio. Dopo il trasferimento alla Garbatella cessò quest’attività, perché non gli venne concessa la licenza, in quanto era già conosciuto come un noto sovversivo. Riuscì ad entrare come facchino ai Mercati Generali: anche questa struttura lavorativa era piena di compagni antifascisti. Da prima socialista poi comunista Giuseppe ebbe un ruolo importante nella lotta di liberazione, presso il comando della Settima Brigata Garibaldi: era Ispettore organizzativo del II battaglione. Giuseppe, ormai latitante, torna a dormire per una sera nella sua casa di Via Rubino insieme al fratello. Purtroppo questa scelta gli sarà fatale. Catturati la sera del 22 marzo vengono torturati e portati il 24 marzo nel devastante inferno delle Fosse Ardeatine.
A Giuseppe Cinelli, dopo il 4 giugno del 1944 all’indomani della liberazione di Roma, fu intitolata la sezione dei comunisti della Garbatella, la Villetta. A distanza di settanta anni e gli inevitabili cambiamenti di nome delle strutture politiche all’interno della Villetta, Pci, Pds, Ds, Sinistra Democratica, Sinistra Ecologia e Libertà è rimasta l’intitolazione a Giuseppe Cinelli, fortemente voluta dagli iscritti e dai frequentatori della Villetta. Tutto questo per non dimenticare.
Francesco e Giuseppe Cinelli, a destra Enrico Mancini
Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 10 – Aprile 2014





