La musa della mia poesia? Si chiama Garbatella

La musa della mia poesia?
Si chiama Garbatella.

Un tavolino, due sedie e due tazzine al bar, per raccogliere i ricordi Nicola Di Gennaro, poeta romanesco ma non troppo, ex facchino ai Mercati. Anche a Cara Garbatella ha dedicato versi

di Carolina Zincone

Come ci riconosciamo?”. “Io ho una giacca rossa”. “Io una nera”. L’appuntamento è al Bar Biffi “ma non stiamocene qui co’ sti cazzari degli amici mia”, mi dice subito Nicola. Così ci spostiamo da Renata al Bar dell’Angolo. La Roma ha appena battuto il Bordeaux e siamo tutti e due di ottimo umore. Peccato che il mio registratore faccia le bizze. “Mejo, così ci rivediamo e quando ci rivediamo magari ti porto pure una poesia su questo nostro incontro”. Sì, perché Nicola Di Gennaro, nato nel 1936, è un poeta, romanesco ma non troppo; ed è per parlare delle sue poesie, che sa tutte a memoria e recita volentieri, che ci incontriamo.

La musa della mia poesia?
Si chiama Garbatella.

Un tavolino, due sedie e due tazzine al bar, per raccogliere i ricordi Nicola Di Gennaro, poeta romanesco ma non troppo, ex facchino ai Mercati. Anche a Cara Garbatella ha dedicato versi

di Carolina Zincone

Come ci riconosciamo?”. “Io ho una giacca rossa”. “Io una nera”. L’appuntamento è al Bar Biffi “ma non stiamocene qui co’ sti cazzari degli amici mia”, mi dice subito Nicola. Così ci spostiamo da Renata al Bar dell’Angolo. La Roma ha appena battuto il Bordeaux e siamo tutti e due di ottimo umore. Peccato che il mio registratore faccia le bizze. “Mejo, così ci rivediamo e quando ci rivediamo magari ti porto pure una poesia su questo nostro incontro”. Sì, perché Nicola Di Gennaro, nato nel 1936, è un poeta, romanesco ma non troppo; ed è per parlare delle sue poesie, che sa tutte a memoria e recita volentieri, che ci incontriamo.

Svelto a ispirarsi e fedele alla promessa, nelle rime con cui arriva il giorno dopo descrive , “all’interno del bar/ un tavolino, due sedie, e due tazzine”, il perché di tutte quelle mie insistenti “domandine”: “voleva saper della mia passione innata/di come era nata la mia poesia/dove attingevo l’ispirazione, la fantasia”. Leggo la firma di Nik. Dig. ed osservo quanti sono i nomignoli che Nicola si dà a seconda della poesia e del momento in cui l’ha composta.
Sono anni che scrive, da quando lavorava come fattorino ai Mercati generali e regalava stornelli alle ragazze dei negozietti  sull’Ostiense. Al mercato lo chiamavano Nik Sciabola, autore delle prime rime. Dai tempi del mercato Nik ne avrà prodotte almeno 200, tutte belle, tutte diverse. Quella sul Natale, con cui si presenta quasi fosse un biglietto da visita, è tra le prime che ha scritto. Tanto per capire il personaggio, si conclude con un “volemose bene e così sia”. L’indole è quella di un uomo che vuole star tranquillo, godersi le cose belle della vita senza imporsi o imporre nulla a nessuno. Quando faceva il militare voleva essere un soldato semplice e anche adesso dice al resto del mondo: “comandate voi!”. Però, “come diceva il grande Sandro (Pertini), la libertà tua finisce dove comincia la mia”. In altre parole, “se m’acciacchi un piede dico ahio”. Col passare del tempo, ammette Nicola, “me so’ erudito mejo”. Dopo essere andato in pensione ha potuto dedicare più tempo alla poesia, a questa passione che tutte le altre esalta: quella per Roma e per la Roma, per le donne, la moglie, le amiche vere, “che hai voja a di’ che so’ impossibili”, e i veri amici, compresi quelli a quattro zampe come “Erik, er cane mio” (del quale sta scrivendo una “autobiografia”), o “Felix, adorabile gattaccio”. E’ a loro che Nicola dedica molti dei suoi pensieri in rima. Le note che lo commuovono sono quelle sulla fine della vita, che sente arrivare in “Volto di nonno”, e sull’amore che teme perduto, in “Le scuse”:

Er sole co’ la scusa
De riscallà la terra
S’accenne la mattina
Pe’ illuminatte a te.
Le stelle co’ la scusa
De illumina’ la notte
S’accenneno la sera
Pe’ fa’ contorno a te.
Er vento co’ la scusa
D’accarezza’ la rosa
S’arubba er su’ profumo
Pe’ arigalallo a te.
E a te che stai confusa
Tra tutti sti preziosi beni
Quello der core mio
Non t’interessa più.

I ricordi ormai sono tanti. Ci sono quelli della “fatidica notte del bombardamento di San Lorenzo, nel luglio del ’43”. Nicola viveva lì, la sua famiglia fu costretta a trasferirsi e finì per stabilirsi alla Garbatella. C’è il ricordo della morte del padre, di lì a poco. Al lotto 28 di Via Massaia, con la mamma, 4 fratelli, 3 sorelle, gli zii e i
cugini erano in troppi per due stanze. Così, lui e il fratellino piccolo vengono mandati in collegio al Don Orione di Via Induno e poi alla Camilluccia, dove studiano fino al ’52. “Non ci sono rimasto troppo male”, racconta, ma detta così la frase fa pensare che un po’ male c’è rimasto, Nicola, a lasciare i suoi e la Garbatella.
Uniti da un unico destino, i fratelli Di Gennaro restano insieme anche a bottega dal pittore di Via Aldo Manuzio a Testaccio, e per fatalità il primo lavoro di Nicola è quello di dipingere le persiane di Via Persico, sotto casa alla Garbatella. Passa poi per una pompa di benzina e infine lavora come fabbro meccanico prima di approdare, nel ’55, ai mercati di Via Ostiense, dove rimane fino al 2002 – anche se dice ’92 “perché nun so’ bono a di’ 2000”. 35 anni sotto padrone ad una ditta di frutta e verdura e poi, nel ’91, la licenza di facchino patentato, per scaricare i camion “colla macchinetta per il trasporto merci”. Talmente si affeziona alla gente e al mercato che quando arriva il momento di andare in pensione Nicola non ci riesce a lasciare tutto. Si presenta l’opportunità di rimanere ai mercati come custode dei bagni pubblici e non se la fa sfuggire. E’così che, “stando lì senza far niente”, Nik Sciabola trova il tempo e l’ispirazione per comporre poesie. Poesie che dedica, immancabilmente, alle cassiere che diletta nelle vicinanze. Anche adesso che non lavora più, le poesie gli vengono in mente soprattutto di notte. Ma non gli va d’alzarsi a scriverle. “Er pigro” protagonista della bella poesia firmata Nik. Dig., è proprio lui – “perché io me guardo allo specchio e l’autoironia me se magna!”. Però non gli sfugge niente di quel che succede nel quartiere e fuori, e quel che succede di importante trova posto in una sua poesia, andando ad arricchire un repertorio già ricco di affetti e ricordi indelebili. “Apro il rubinetto e le parole mi scorrono. Se a volte mi blocco e non scrivo per un po’ di tempo è perché non vedo la luce”. Quella di una pubblicazione che racchiuda tutte le sue poesie. A “Roma mia, che ossessione”, dedicata alla sua città di sempre, alla “piccola fontanella/meraviglioso angolo di Garbatella”, alla “romantica scalinata/dove salivo felice con l’innamorata”, si aggiungono di volta in volta rime dedicate a “eventi” o “ricorrenze” di rilievo. I “vecchi mercati”, ad esempio, vengono cantati prima come memoria del passato – “Vedendo questa struttura abbandonata/quanti ricordi riaffiorano alla mente./Ricordi di una vita, allegra e spensierata/ma lavorando, lavorando duramente” – e poi con una poesia che ne celebra il futuro. Passato, presente e futuro convivono in molte delle poesie di Nicola, legato ai ricordi della giovinezza, agli “orticelli de guera”, ma pronto a vedere quel che di buono c’è oggi. Allora gli chiedo, “quali sono i luoghi a te più cari?”. “Piazza Biffi, la fontana di Carlotta, Piazza S. Eurosia, è lì che mi incontri, al centro anziani non ci vado”, mi dice, “non mi ci vedo!”. Si vede dove si è sempre visto, anche se le cose sono cambiate: “una volta sposato la vita cambia, abbiamo smesso di starcene sul muretto a far birichinate fino a quando non venivano le guardie richiamate dai nostri schiamazzi”. “E cos’altro è cambiato qui a Garbatella negli ultimi anni? Tu che osservi e scrivi, che sei sensibile e racconti, dimmi un po’, da cosa sei stato colpito?”. Mi dice: “La mentalità d’allora è rimasta … Certo, non ci sono più le botte dei bulli di un tempo”. E racconta, “‘na cosa n’antra”, di quella volta che a uno “je prese d’aceto” e gli buttò le carte da gioco in faccia. Adesso è diverso, da un lato ci sono miglioramenti, dall’altro “te devi guarda’ alle spalle”. C’è troppo egoismo. Prendi la questione degli extracomunitari. “Non eravamo pure noi extracomunitari quando smucinavamo nella monnezza?”. Il bilancio è chiaro in “Che nostalgia, ricordi di Garbatella”:

Ricordi, ricordi, quanti ricordi
Ricordi di te, cara Garbatella
Ricordi della mia gioventù più bella.
Ricordi di quando ancor bambino
Seduto sul muretto, di un giardino
Ascoltavo pazientemente i discorsi

Di tanta anziana gente.
Ricordi delle tue accidentate strade/delle tue chiassose piazze.
Di quelle sfide pazze Fatte di battaglie, con lanci di sassi.
Di quelle partite di pallone Dove tutti ci sentivamo tanti assi.
Ricordi di quelle tiepide serate/coronate da splendide serenate.
Che dolci e piacevoli canzoni
Volavano su in alto, verso i piccoli balconi
Dove nascosto dietro una tendina
Palpitava, pazzamente innamorato
Il cuore di una piccola ragazzina.
Ora il progresso ti ha cambiata
E’ vero, ti ha fatta più bella
Ma da povero romantico, nostalgico
Ricorderò per sempre
Quella cara vecchia Garbatella.

Così, quando inaugurano la nuova Piazza Biffi nel 2004, Nicola scrive “E’ nata una regina” e rammenta come, da bambino, sognasse “di vederla un giorno/distinguersi, da tutte le altre”. Ma due anni dopo non può fare a meno di rammaricarsi per le sorti deludenti di “Quel ponticello”, che doveva essere “il fiore all’occhiello/ della rinnovata piazza./Oggetto di attrazione/per la gente di questo rione/e per tanti visitatori, di ogni razza”, ed è di fatto “accantonato” e tanto “tristemente sgretolato”. Anche quando viene a mancare una figura di rifemento importante per i romani come Alberto Sordi, Di Gennaro è pronto a dar voce a un sentimento collettivo, scrivendo una poesia di rimprovero alla “cara comare” che si conclude immaginando un “celeste siparietto” in cui Sordi fa divertire gli abitanti del cielo. Per lui, “donatore e portatore del sorriso/c’è un solo posto, il Paradiso”. Una data “storica” viene commemorata insieme a quelle che la storia la faranno. “La politica”, dice Nicola, “non mi interessa”, ma il 25 aprile si rispetta: “è successo, fijo mio/ (e dovemo ringrazià er buon Dio)/che quer giorno/è stato sconfitto l’oppressore/è stato scacciato l’invasore”. Si celebra la Liberazione e si celebra lo scudetto della Roma: “E’ un urlo pieno d’ardore/che dona un immenso calore/che ti fa sprofondare in coma/è un urlo sovrumano:/Forza Roma!”. Se poi l'”evento” ha luogo a Garbatella, tutto diventa più bello, ed è impossibile resistere alla tentazione di cantarlo in rime. Ecco “La maratona a Garbatella”: “E’ passata la maratona a Garbatella/e non ho potuto far a meno di ammirarla./Era sì semplice, ma tanto bella/attraverso viali, piazze e giardini/correvano tanti, piccoli e grandi campioncini/correvano giovani, anziani, bambini/e da infiltrati anche tanti cagnolini”. Non sorprende, allora, che Nicola Di Gennaro si sia affezionato a questo giornale, che vive e fa vivere il quartiere, e gli abbia dedicato la poesia “Cara Garbatella, quel giornalino tanto caro”:

Era ora, finalmente,
Che a qualcuno gli venisse in mente.
Di creare un giornale di quartiere,
Pieno delle sue e nostre storie,
Storie un pò tristi,
Colorate, vere.
In queste storie, tutti ci rivediamo,
Di come era, di come eravamo;
Storie che ai nostri figli tramandiamo.
Storie ormai passate, ma non dimenticate,
Progetti di un futuro sempre migliore,
Sempre più bello, più sicuro.
Oggi sfogliando avidamente
Questo (piccolo) grande giornalino
Quante cose mi tornano in mente.
Mi portano indietro, risentir bambino.
Accanto a tanti amici, che non ci sono più.
Pazienza, Cara Garbatella, adesso ci sei tu.

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 6 – Marzo 2009

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