Alla Meloni non spiace, per dare un tono popolare alla propria biografia, fare disinvolto uso della propria “origine garbatellana”. Qualche volta è per giustificare la calata gergale molto romana, qualche volta per sottolineare il fatto di “essersi fatta da sola”, qualche volta per dire del suo carattere e della “sua anima” verace che, come nel comizio di Catania, ogni tanto “le scappa fuori”. Ma la Meloni Giorgia, oltre alla sfilza di autocitazioni -“sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana”- urlate pochi mesi fa sulla piazza spagnola a sostegno della formazione fascista Vox, c’ha diritto a dirsi, come meglio le fa comodo, “e so’ puro d’a Garbatella”?
Diciamo che dal punto di vista delle categorie “patriottarde” a lei care l’attribuzione è quanto meno azzardata. Meloni Giorgia tanto per cominciare è nata da genitori di Roma nord: quindi con “ius sanguinis”, a lei caro, non ci siamo. Poi è nata alla Camilluccia da cui, a seguito di un incidente domestico, all’età di tre anni fu costretta a lasciare la riva destra del Tevere per dirottare i passi verso il nostro quartiere. Insomma manco con il deprecato “ius soli” potrebbe rientrarci.
Epperò, direbbe anche il più tenace dei critici, ma ormai son più di quarant’anni che qui vive, c’ha messo le tende, ha creato cristianissima famiglia, ha fatto i suoi studi “matti e disperati”, ha dato tanto per la comunità: c’avrà pur diritto alla cittadinanza garbatellesca o no? Beh a dire il vero, la ragazza, qui è stata più di passaggio che altro: da tantissimi anni abita da un’altra parte, rare le sue presenze pubbliche eccettuate quelle stanziali nel locale a livello strada di Guendalina Borghese dove quindicenne scoprì la politica, per non parlare degli studi che preferì andare a farli da un’altra parte.
Aveva ben due licei a pochi metri da casa, il Borromini e il Socrate, ma lei scelse l’Amerigo Vespucci, istituto professionale alberghiero di tutto rispetto che però con le nostre strade c’azzecca poco. Quindi neanche le norme dello “ius scholae” potrebbero farla iscrivere nel “registro delle anime” delle nostre parrocchie mettendola così al riparo da chi l’accusa di millantato credito ogni volta che dice Garbatella a decibel sparati e con la giugulare pulsante.
Vabbè, torniamo ad esser seri e molliamo ‘ste categorie fesse sulla “selezione dei diritti e delle razze” che abbiamo usato per gioco a proposito della Meloni Giorgia ma che secondo lei sarebbero utilissime per segnare l’esistenza delle persone.
La Garbatella che amiamo è infatti un quartiere fondato sull’accoglienza. In un secolo non ha mai respinto gli sbaraccati, i profughi e gli sfollati, i perseguitati politici, i condannati al confino, i cercatori di pace e di giustizia, i partigiani dell’Italia resistente e repubblicana, gli ebrei destinati ai campi e i disertori stanchi di guerre, gli affamati e i bisognosi, i sognatori e i ribelli, i senza casa e i senza reddito, i volontari di cento associazioni di base, gli eretici dubbiosi o i credenti delle più diverse confessioni. Quindi, diciamolo pure con convinzione, non si faccia eccezione per la Meloni che qui non è nata nè ha studiato, qui è stata di passaggio e ora abita altrove. Se tenacemente vuole dirsi della Garbatella, ebbene faccia pure. Reclami pure, da migrante in transito, il suo permesso di soggiorno.
Nessuno la contrasterà. A patto di riservare, nelle sue esternazioni, uguale considerazione per tutti gli Ahmed e i Mohamed in fuga d’Africa, per le tante Fatema e Salma arrivate dall’Asia, per Vera che ha attraversato l’Europa venendo da est come anche per i Marcos e le Luz partiti dal Sud America più povero e ostile. E a patto anche, a tardivo recupero dei suoi debiti formativi, di ripassare bene la storia di questi luoghi, in fondo anche di questa città, fondati sulla contaminazione culturale e sull’intreccio di genti e colori. E lasci stare i blocchi navali, i respingimenti coatti, i recinti dove far morire le speranze degli ultimi. In questo quartiere, nato da donna amante del buon vivere, lo “ius Garbatellae” è virtù generosa e gentile, più tenace delle sue urla passeggere e sempre sfottente di ogni caciara da mercato elettorale
Di Claudio D’Aguanno