Cisterna romana della Colombo: acqua per coltivare rose e viole

E’ stato ipotizzato che alimentasse una grande floricoltura funeraria

Cisterna romana della Colombo: acqua per coltivare rose e viole

La scoperta nel 1940 durante l’impostazione della Via Imperiale.
E’ datata al 120 dopo Cristo. Abbattuto il casale rustico che era stato costruito sulla sua cima

di Cosmo Barbato

Settembre 1940. Fervono i lavori di sbancamento per la costruzione della Via Imperiale, l’odierna Cristoforo Colombo. …..

E’ stato ipotizzato che alimentasse una grande floricoltura funeraria

Cisterna romana della Colombo: acqua per coltivare rose e viole

La scoperta nel 1940 durante l’impostazione della Via Imperiale.
E’ datata al 120 dopo Cristo. Abbattuto il casale rustico che era stato costruito sulla sua cima

di Cosmo Barbato

Settembre 1940. Fervono i lavori di sbancamento per la costruzione della Via Imperiale, l’odierna Cristoforo Colombo.
La strada era stata progettata per congiungere il centro della città con il quartiere fieristico dell’E42, l’Esposizione Universale di Roma, oggi Eur: doveva celebrare, nel 1942, il ventennale della presa del potere da parte del fascismo.
Da tre mesi l’Italia è sciaguratamente in guerra contro Francia e Inghilterra al fianco della Germania. Tra poco i lavori saranno rallentati e più tardi sospesi: l’esposizione è rinviata sine die, le braccia servono per imbracciare fucili e inoltre cominciano a scarseggiare i materiali. Il 20 settembre però la macchina marcia ancora a regime. Quel giorno viene dato l’ultimo colpo di piccone per demolire un casale rustico di incerta datazione che si trovava ai margini del tracciato della Via Imperiale, all’altezza della borgata Garbatella.

Villa 9 maggio Disegno del 1795 del casale che si era sovrapposto alla cisterna. Fu abbattuto nel 1940.

Sotto il casale appare un enorme rudere la cui sommità emerge appena dal livello del terreno che verrà in seguito asportato. Nel resoconto quotidiano dei lavori si legge: “Nello sterro presso la ex proprietà Vighi vi è un gran rudere rotondo con pilastro centrale e due muri di reticolato e a ridosso verso la Via Imperiale vi è una grande abside a cortina con un pilastro nel mezzo” (Vighi è in realtà De Vito, il senatore Roberto De Vito, sottosegretario alle Poste, espropriato di quel terreno e ancora proprietario anche di parte della collina sovrastante, fondatore dell’Istituto Postelegrafonici, che aveva fatto dono all’ente previdenziale della attigua Villa 9 Maggio, convitto per le figlie dei dipendenti postali).

Purtroppo non c’è rimasto alcun documento fotografico del casale.
Padre Alfredo Melani, uno dei pionieri della Garbatella, il prete degli Oratoriani di San Filippo Neri che operava presso la “chiesoletta” di Sant’Eurosia, nel 1993 ci raccontò che lì c’era l’orto della sora Caterina. Dopo la demolizione del casale, quando il rudere fu lasciato in abbandono, i suoi ragazzi lo andavano a “esplorare”, tornando all’oratorio con olle e marmi lavorati che egli cercò di salvare: quelli che riuscì a raccogliere adesso sono conservati in un piccolo antiquario presso l’Istituto Cesare Baronio, alla Garbatella.
Del vecchio  casale c’è rimasto però un disegno del 1795, allegato a un atto di vendita a favore di mons. Giuseppe Muti Papazzurri. Nel documento il casale è anche descritto: “.. una casetta di due stanze, una terrena per comodo d’attrezzi ed una superiore per uso de lavoranti…una casa per uso del vignarolo composta di due piani, uno terreno viene formato di tre stanze, due delle quali con cisterna servono per uso di tinello…e l’altra per il torchio ed altr’uso di una grotta…il piano coperte a tetto…”.
Si procedette dapprima allo scavo dell’edificio minore, la “grande abside”, in realtà una costruzione rotonda in mattoni di 10 metri di diametro di incerta destinazione d’uso, datata al III secolo dC. Si lavorava allo sterro, seppure a ritmo ridotto, ancora nel 1941. Vennero recuperati un sarcofago di peperino e delle epigrafi funerarie frammentate. Si inizia quindi lo scavo dell’edificio maggiore in opera reticolata, definito “tempio rotondo”, ma a quel punto i lavori si arrestano, per riprendere soltanto due anni dopo il passaggio della guerra a Roma, nel 1946.
La definizione di  “tempio rotondo” viene mutata in “sepolcro”, però solo quando gli archeologi riescono a penetrare dentro il manufatto si accorgono che si tratta di un’enorme cisterna: lo prova il rivestimento interno in cocciopesto, la malta idraulica che i romani usavano per impermeabilizzare le murature destinate a contenere acqua (un impasto di calce e terracotta tritata fine). All’interno, esplorato a quel momento solo in minima parte, insieme ad altre epigrafi funerarie
frammentate e a vario materiale fittile (vasi e lucerne), viene rinvenuto anche il finiti chi sa come nella cisterna, provenienti probabilmente da una grossa necropoli che si estendeva nelle immediate vicinanze, ai lati di Via Padre Semeria (è tornata alla luce l’anno scorso durante lavori edili ma lo scavo archeologico non è ancora iniziato).
A quel punto per vari motivi i lavori sulla cisterna di nuovo si arrestano, questa volta per un lungo periodo.

Coperchio di sarcofago del II sec. rinvenuto nella cisterna: mostra una coppia di defunti distesi

Solo nel 1961, nell’imminenza dell’edificazione alle sue spalle del moderno edificio della sede regionale della Sip, si impone una ripresa dei lavori, a cominciare dallo sterro generale di tutto il grande rudere rotondo. Successivamente si passa allo svuotamento del suo interno. Si dovrà procedere lentamente, rafforzando via via le strutture portanti, anche a causa della minaccia di crolli: e infatti viene giù un tratto delle volta che più tardi verrà risarcito con materiali moderni. Le opere vengono ultimate nel 1969 e infine, nei primi anni ’90, sponsor la Sip, viene attuata un’opera generale di studio, di restauro conservativo e di sistemazione monumentale affidata all’archeologa Anna Maria Ramieri. La cisterna era collegata a un acquedotto di cui si sono trovate scarse tracce. Aveva all’esterno un diametro che misurava circa 20 metri ed era partita all’interno in due corridoi circolari concentrici e da un’ampia fossa centrale di decantazione. A giudicare dai bolli impressi nei mattoni (i romani usavano bollare il materiale laterizio col nome o la sigla del fabbricante o del proprietario dell’opera), l’edificio fu eretto poco prima del 120 dC, nel periodo compreso tra la morte di Traiano e l’inizio dell’impero di Adriano.
A quel tempo non c’erano  ancora le Mura Aureliane, erette tra il 271 e il 275, cioè più di 150 anni dopo, e non c’erano nemmeno le Terme di Caracalla (212-217), il monumento più imponente costruito in questo quadrante di Roma. La capienza della cisterna è valutata in diverse centinaia di migliaia di litri d’acqua. Si è potuto stabilire che è rimasta in funzione almeno fino al IV secolo e che alla fine di questo secolo o all’inizio del V sulla sua copertura fu realizzato un ambiente destinato alla pigiatura di prodotti agricoli (uva? olive?), sicuramente anteriore all’edificazione del casale, all’interno del quale venne inglobato.
Nei dintorni, ma non dappresso, risultano numerose altre costruzioni più o meno coeve, ville rustiche, necropoli e un’altra cisterna datata al II secolo i cui resti si trovano in cima alla sovrastante collina, nella Villa 9 Maggio, sede dell’Istituto Postelegrafonici. Non sembra però che la nostra cisterna fosse collegata a una residenza di campagna. Ma la sua funzione, per grandiosità e capienza, era certamente destinata allo sfruttamento di un vasto fondo organizzato, per la vicinanza al centro urbano, forse per coltivazioni floro-orticole.
Considerando la sua prossimità ad un’area funeraria e la sua vicinanza alla Via Appia, famosa per i monumenti sepolcrali eretti ai suoi lati, è stato ipotizzato che fornisse acqua per vaste coltivazioni floreali: rose e viole in particolare, i fiori più usati per onorare i defunti.
L’itinerario della Colombo non esisteva in antico. Fino alla sua impostazione allo scadere degli anni ’30 del secolo scorso nella nostra zona era sopravvissuto il sistema viario storico della campagna romana nel quale – tra le arterie principali dell’Appia, dell’Ostiense, della Laurentina e dell’Ardeatina – si estendeva una fitta
rete di strade minori. Tale rete si era formata per servire l’elevato numero di insediamenti agricoli che provvedevano alla vita quotidiana della città, fornendo ad essa pregevoli prodotti dei loro orti, dei loro frutteti e dei loro giardini. Oggi la bella sistemazione della cisterna, di quel grande monumento dell’ingegneria idraulica antica, posto davanti alle geometriche anonime architetture di palazzoni moderni e accosto al traffico convulso e disattento della Colombo, rappresenta una preziosa testimonianza che ci ricorda che siamo a Roma!

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail