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Anche a “Chi l’ha visto” la tragica storia delle dieci donne del Ponte di Ferro

di Ilaria Proietti Mercuri

La guerra è quella cosa dove ci sono persone armate da una parte, persone armate dall’altra, e ci si spara. Ma quello che è successo durante l’occupazione nazista a dieci donne di Ostiense, Portuense e Garbatella, non ha niente a che vedere con la pur odiosa guerra. Sparare a delle madri che rubano il pane per sfamare i loro figli, non è guerra, è atrocità. Una storia che tuttora mette i brividi: “Era il 1944 e a vederla sono gli occhi di un bambino: chi sono queste donne?

Settantacinque anni dopo si tenta ancora di dare un volto a queste persone”. Così, una delle conduttrici del programma “Chi l’ha visto” fa partire il servizio mandato in onda il 26 Aprile scorso. Grazie all’attenta ricerca dello scrittore Cesare De Simone, purtroppo morto nel 1999, e anche grazie ad un testimone, oggi conosciamo i nomi di quelle donne. Ma la ricerca dei loro volti, delle loro famiglie o di chiunque riconosca almeno una di loro, continua affinché non vengano dimenticate.

Clorinda Falsetti, Italia Ferracci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiorentino, Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Pizzi, Arialda Pistoiesi, Silvia Loggreolo.

Tutte ci hanno lasciate il 7 Aprile del 1944 e la loro storia è questa: in Italia c’era l’occupazione tedesca, la fame, la povertà. Come se non bastasse, in quei giorni era stata ridotta la razione del pane. Ormai esasperate, decisero di assaltare i forni dove si panificava il pane bianco per fascisti e nazisti. Sporche di farina e con i grembiuli riempiti di pane, decisero di scappare prima che i militari tedeschi arrivassero. Dieci di loro però, durante la fuga, furono catturate proprio sul ponte dell’Industria, conosciuto dai romani come ponte di Ferro. “Le disposero contro la ringhiera del ponte, il viso rivolto al fiume sotto di loro. Si era fatto silenzio, si udivano solo gli ordini secchi del caporale che preparava l’eccidio.

Qualcuna pregava, ma non osavano voltarsi a guardare gli aguzzini, che le tennero in attesa fino a quando non riuscirono ad allontanare le altre e a far chiudere le finestre di una casetta costruita al limite del ponte. Alcuni tedeschi si posero dietro le donne, poi le abbatterono con mossa repentina come si ammazzano le bestie al mattatoio.” Così De Simone, nel suo libro “Donne senza nome”, descrive quel giorno.

Un episodio che di certo non troverete sui libri di storia. Ma, ancora oggi, quello che allora era solo un bambino ricorda e racconta come fosse ieri. L’unico testimone della strage: Fulvio Carnevali, che con gli occhi lucidi, la calata romana e i capelli ormai bianchi, rivela di come anche lui la mattina di quel 7 Aprile attraversò il viadotto per dirigersi al forno. Una volta tornato a casa a mani vuote però, quando la madre gli chiese se avesse preso la farina, rispose: “A mà, a farina là nun se piava, c’ereno i tedeschi, e poi o sai che sotto ar ponte c’era ‘n mucchio de donne morte?”.

La risposta della madre, fredda e composta, Fulvio se la ricorda bene: “Fijo mio qui ammazzano tutti i giorni a gente”. Ecco, forse proprio a causa di tutte quelle morti, non ci si impressionava più e molte furono dimenticate. A certe pagine della storia però, non dovremmo mai togliere il segnalibro, bisognerebbe ricordarle, approfondirle, divulgarle sempre. Perché il silenzio e l’indifferenza, sono anch’essi un crimine.

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