Giuseppe Felici un, eroe figlio della Garbatella

Settembre 1943: sessanta anni fa nasceva la Resistenza

Giuseppe Felici un, eroe figlio della Garbatella

di Cosmo BARBATO

SETTEMBRE 1943 SETTEMBRE 2003:60 anni fa, tra il giorno 8, data d’annuncio dell’armistizio e il giorno 10, a Roma, proprio nel territorio del nostro Municipio, nasceva la Resistenza italiana che si sarebbe conclusa 11 25 aprile 1945 …..

Settembre 1943: sessanta anni fa nasceva la Resistenza

Giuseppe Felici un, eroe figlio della Garbatella

di Cosmo BARBATO

SETTEMBRE 1943 SETTEMBRE 2003:60 anni fa, tra il giorno 8, data d’annuncio dell’armistizio e il giorno 10, a Roma, proprio nel territorio del nostro Municipio, nasceva la Resistenza italiana che si sarebbe conclusa 11 25 aprile 1945 con la cacciata dell’occupante tedesco e dei collaborazionisti di Salò. Due furono gli epicentri della battaglia che vide uniti militari e volontari civili: la Montagnola e Porta San Paolo. Alla Piramide, tra i combattenti (numerosi anche i popolani della Garbatella), c’era un giovane eroefiglio del nostro quartiere, Giuseppe Felici, medaglia d’oro. Alla sua memoria dedichiamo questo nostro ricordo.

Due strade , una situata in uno dei quartieri nuovi della capitale, il Torrino, e l’altra in una città della Sabina, sono intitolate a un figlio della Garbatella, Giuseppe Felici, fucilato dai nazifascisti a 21 anni il 9 aprile 1944: un eroe cui è stata conferita la medaglia d’oro, al quale ha voluto rendere omaggio il Comune di Roma, dove era nato e vissuto, e quello di Poggio Mirteto, luogo di origine della famiglia, in provincia di Rieti, città quest’ultima dove fu fucilato insieme ad altri quattordici combattenti per la libertà.
L’eccidio ebbe luogo un sabato santo. I prigionieri, prelevati dalle celle del carcere reatino di Santa Scolastica, le mani legate dietro la schiena, furono stipati in un camion. Pochi minuti di strada, raggiunsero una località desolata, poco distante dall’aeroporto di Rieti, dove il terreno era costellato di voragini provocate da bombe cadute fuori bersaglio. Fu scelta la più profonda e intorno ad essa furono sospinti i condannati. Seguì un’ esecuzione sommaria, attuata senza dare nemmeno il colpo di grazia, come si costatò dopo la Liberazione, quando i poveri corpi vennero riesumati (in alcuni la bocca piena di terra indicava che erano stati sepolti ancora vivi). Subito dopo l’eccidio, un trattore provvide a colmare la buca e a sigillare la catasta di vittime.

Poi la zona fu interdetta a tutti. Il luogo della strage venne tenuto segreto e verrà scoperto soltanto molti mesi più tardi e dopo lunghe ricerche. Giuseppe Felici era stato condotto al patibolo ancora sanguinante per le ferite riportate in un ennesimo scontro con una pattuglia tedesca. Prima di lasciare il carcere, ormai certo dell’imminente fine, ebbe modo di affidare un messaggio verbale a un altro prigioniero destinato ai lavori forzati al fronte: ti raccomando, porta un bacio a mamma e alla mia ragazza e ricordati di quell’ufficiale repubblichino che ha testimoniato contro di me.
Quel luogo maledetto fu battezzato dalla pietà popolare col nome di Fosse Reatine, forse anche per assonanza con le Fosse Ardeatine di Roma. A Rieti, come a Roma, la strage era avvenuta con l’attiva complicità dei repubblichini di Salò.
Giuseppe Felici era il primo di tre figli di un impiegato postale, Angelo, e di Penolope Del Bufalo. Abitava con la famiglia alla Garbatella in Via Guglielmo Massaia 65 nelle case dell’Istituto Postelegrafonici. Studente d’ingegneria, innamorato della matematica, si industriava a lavorare in casa come radiotecnico contribuendo al ménage familiare. Nell’aprile del `43 arrivò la chiamata alle anni per il servizio di leva. Lo spedirono subito al corso allievi ufficiali piloti dell’aeronautica. Era a casa in licenza straordinaria perché doveva sostenere alcuni esami, quando l’8 settembre fu sorpreso a Roma dall’annuncio dell’armistizio.
Giuseppe non ebbe esitazioni e il 9 settembre era a Porta S.Paolo per contrastare, con le armi in pugno, l’occupazione tedesca insieme ai granatieri, ai lancieri della divisione corazzata “Ariete”, ai dragoni del “Genova cavalleria” e alle migliaia cli popolani e di antifascisti romani. Com’è noto, fu a Porta S.Paolo che ebbe inizio la Resistenza. Negli scontri Felici rimase ferito ma riuscì a sottrarsi alla cattura. Ancora convalescente riprese le armi, aderendo ad una delle reti centrali dei GAP romani (quella guidata da Carlo Salinari. futuro professore di letteratura italiana alla Sapienza), operando audaci azioni di sabotaggio e di guerriglia in varie periferie della capitale. Per le sue spiccate doti organizzative e per il suo coraggio fu inviato a coordinare la resistenza in Sabina, dove numerosi gruppi di patrioti e centinaia di giovani renitenti alla leva fascista avevano scelto la strada della montagna, iniziando ad attaccare convogli e installazioni tedesche nonché postazioni dei collaborazionisti di Salò.
Felici in Sabina giocava in casa: la sua famiglia era originaria di San Valentino di Poggio Mirteto dove possedeva un podere, sempre assiduamente frequentato. Qui, per sottrarsi al rischio dei bombardamenti (Garbatella e l’Ostiense erano stati a più riprese colpiti), erano sfollati la madre e i fratelli Piero e Renato, mentre Angelo, il padre, legato al suo lavoro, faceva il pendolare con Roma.
Fino al dicembre Giuseppe riuscì ad operare sotto copertura, ma a seguito di una azione che lo costrinse a scoprirsi e nella quale cadde un partigiano, fu ferito un tedesco e un altro fu preso prigioniero, venne sconosciuto. Subito sulla sua testa fu posta una grossa taglia, ma al momento fu il padre a pagare il prezzo più alto: ignaro dell’operazione in corso, fu arrestato, come parente diretto di un supericercato, mentre tornava in corriera da Roma. Deportato in Germania, morirà per gli stenti patiti dopo il suo rientro in Italia alla fine della guerra. A quel punto Felici, braccato da tedeschi e fascisti, fu fatto allontanare dalla zona. Dopo una breve sosta a Roma. si spostò nel circondario di Leonessa, dove operavano numerose bande partigiane (ricordiamo che Leonessa pagò un largo tributo di sangue alla lotta per la libertà: ben cinquantuno suoi figli furono uccisi dai nazifascisti, dei quali ventitré in una sola strage consumata il 7 aprile del 44, due giorni prima dell’eccidio di Rieti).
Ben presto però egli volle tornare alle sue montagne, i Monti Sabini, dove sul Monte Tancia (m. 1282) operava una delle più grosse formazioni dell’Italia centrale, la banda “D’Ercole -Stalin” (D’Ercole dal nome del partigiano ex ufficiale dell’esercito Patrizio D’Ercole; Stalin perché il capo dell’Unione Sovietica rappresentava in quegli anni il simbolo della resistenza al nazifascismo). Ci furono momenti in cui la banda riuscì a raggruppare anche un migliaio di combattenti, impegnando in battaglia grossi reparti tedeschi, sconvolgendone le retrovie e creando nell’area una vasta zona libera. Felici, nella sua attività di combattente, si spostava in tutta la Sabina: per attaccare colonne germaniche, per operare sabotaggi e per colpire i collaborazionisti fascisti non di rado più spietati e voraci degli stessi tedeschi. In uno dì questi spostamenti, dirigendosi verso Rieti attraverso le zone impervie di Leonessa, dove erano in corso aspri combattimenti, giunse con quattro suoi compagni nei pressi di Cantalice. Qui il gruppo fu intercettato da una pattuglia tedesca. Mentre i suoi compagni, trovati disarmati, riuscirono a scampare all’arresto, Felici vistosi perduto estrasse la sua pistola dallo zaino e tentò un conflitto a fuoco ma fu ferito e quindi catturato. Sanguinante fu trasferito al carcere reatino di Santa Scolastica e da qui il 9 aprile fu condotto all’estremo supplizio.
Si chiudeva così la giovane vita di questo figlio della Garbatella, cui verrà concessa la medaglia d’oro alla memoria poco dopo la Liberazione, con decreto del 14 giugno 1947, con questa motivazione:
” Ferito dopo aspro combattimento contro forze preponderanti tedesche nella difesa di Roma del settembre 1943, riprendeva subito le armi nella lotta partigiana contro l’invasore. In plurime azioni di sabotaggio e di guerriglia tra le più audaci si distingueva per le virtù di capo valoroso, sereno valutatore del pericolo, sempre presente ovunque il rischio fosse maggiore. Braccato dai nazifascisti che avevano posto su di lui una forte taglia, resisteva con indomito coraggio alla testa dei suoi compagni infliggendo al nemico in epici combattimenti e azioni gravi perdite. Arrestato da due ufficiali tedeschi, riusciva a fuggire. Subito dopo in un duro combattimento veniva ferito e cadeva prigioniero. Con teutonica ferocia fu fucilato ancora sanguinante per le gloriose ferite. Fioriscono in lui le virtù più nobili del popolo italiano. Roma, 8 settembre 1943 – Rieti, 9 aprile 1944″.
La famiglia Felici non esiste più. Come abbiamo detto, il padre Angelo morì dopo il rientro dai lager tedeschi; la madre, Penelope, affranta dal dolore si spense dopo la morte anche del secondo figlio, Piero; più tardi mori per malattia anche l’ultimo figlio Renato.
A via Guglielmo Massaia non c’è nemmeno una lapide che ricordi il sacrificio di questo nostro eroe. Ci sembrerebbe giusto che il quartiere dove visse gli rendesse almeno questo omaggio, come ha fatto in passato per gli altri suoi martiri, Giuseppe e Francesco Cinelli, Enrico Mancini e Libero De Angelis.

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 0 – Settembre 2003

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