Massimo Cardarelli apre lo scrigno dei ricordi
Di Giorgio Guidoni
Giocare è il modo più immediato per avvicinare le generazioni. Nell’ultimo numero di Cara Garbatella abbiamo lanciato il concorso “Indovina la foto”: si chiedeva di scoprire il nome della via nella quale era ritratto un bambino che accarezzava un cane. Il concorso ha sollevato grande curiosità e partecipazione tra i nostri lettori, c’è stata una divertente premiazione dei vincitori alla Villetta, e soprattutto abbiamo apprezzato la capacità di giocare, di partecipare e di riportare a galla quei ricordi profondi legati al nostro quartiere. Abbiamo poi ricevuto una segnalazione di Annalisa, la nipote del bambino della foto, che ci ha consentito di contattarlo. Siamo così andati ad intervistare Massimo Cardarelli, che all’epoca in cui la foto fu scattata aveva quattro anni, e ancora oggi residente al “quarto” del lotto 11.
Così, all’epoca, erano note agli abitanti le cinque palazzine: primo, secondo, terzo, quarto e quinto, a partire da Largo delle Sette Chiese. Massimo, oltre ad essere una persona simpatica con cui non ci si annoia mai, è una formidabile memoria storica del quartiere, dove ha vissuto per tanti anni.
Il Lotto 11 è molto particolare rispetto alle costruzioni tipiche della Garbatella. I villini infatti nascono tra il 1928 e il 1930 come progetto autonomo di case private destinate originariamente ad alloggi di riposo per i monaci Cistercensi dell’Abbazia delle Tre Fontane. Nello specifico ci riferiamo alle cinque palazzine allineate sulla attuale via Alessandra Macinghi Strozzi, che al tempo del fascismo si chiamava via della Madre Italiana, nome che sarà mutato dopo il 1945 in via Dei Cistercensi, per poi arrivare alla denominazione attuale a partire dai primi anni Cinquanta. La particolarità risiede nel fatto che a differenza degli altri lotti, questo non ha una corte interna, anche se presenta elementi architettonici rilevanti, le loggette con colonna nella prima e nella quinta palazzina, e una struttura che comunque si rifà al classico barocchetto della zona.
L’ICP acquisterà il complesso alla fine degli anni trenta, apportando modifiche alla seconda e quarta palazzina, così da dividere in due gli appartamenti di piano, e raddoppiare il numero di alloggi. Il progetto sarà curato dall’architetto Alberto Calza Bini il quale, per garantire aria e luce ai bagni dei nuovi appartamenti, aprirà degli oblò sulle pareti esterne. L’operazione comporterà tuttavia problemi di stabilità alle palazzine che saranno risolti con successive iniezioni di cemento. Il Lotto 11 era un lotto di confine: le sue case erano le ultime a sud della Garbatella, di fronte alle quali si apriva l’aperta campagna con ampi orti, peraltro parzialmente visibili nella foto del concorso. Dobbiamo ringraziare Massimo per il suo grande contributo nel ricordare i personaggi di una umanità ormai scomparsa dalla memoria collettiva, che però resta vivida negli abitanti storici del quartiere. Gli orti erano gestiti da due contadini, Oreste e Regina, che abitavano in un casale situato proprio di fronte al “quarto”.
Nei primi anni Cinquanta gli orti e gli annessi scomparvero per far posto a quello che sarebbe diventato il Centro Traumatologico Ortopedico (da decenni intitolato ad Andrea Alesini, amministratore prematuramente scomparso) e alle palazzine, che attualmente ancora fronteggiano il lotto 11, pensate come alloggi per i dipendenti dell’Ospedale. Ma torniamo all’orizzonte temporale dell’immediato dopoguerra, negli anni che vanno dal 1945 al 1950.
Muovendoci verso Largo delle Sette Chiese, l’attuale via di villa in Lucina non esisteva: in quel luogo c’era una collinetta dietro la quale si trovava l’Osteria di Venceslao rinomata per il vino e per le coppiette di cavallo, una specialità oggi praticamente introvabile. Quella che sarà via di Villa in Lucina era invece una zona molto frequentata dalle coppiette di innamorati, un luogo sicuro per appartarsi e amoreggiare, come nella famosa canzone “com’è bello fa’ l’amore quanno è sera, core a core co’ una pupa che è sincera, e le stelle che ce guardeno lassù, nun so’ belle come l’occhi che c’hai tu…” tanto che gli abitanti del luogo l’avevano soprannominata nientemeno che “via dei culi scoperti”, appellativo che scommettiamo farà tornare i brividi sulla pelle a chi ricorda personalmente quelle passeggiate romantiche. Dicevamo dell’osteria di Venceslao che si trovava nell’attuale Via di Vigna Pozzi in un palazzetto che esiste ancora al civico 4-6 (vedi figura 1),