Nicola Di Gennaro, poeta: grazie per quel che c’hai donato
Ma davvero te ne sei andato così, Nik, senza dir niente? Non ho mai scritto un “coccodrillo” in vita mia, ed eccomi qua a farlo per te, urgentemente, perché la voglia di ricordarti è tanta e il rimpianto per non averti potuto salutare forte. Mi torna in mente il nostro primo incontro al Bar Biffi: dove altro avrei potuto conoscere un personaggio come te, se non alla Garbatella?
Era il dicembre del 2008 e dovevo farti un’intervista da pubblicare su Cara Garbatella. In quell’occasione mi avevi spiegato com’era nata la tua poesia, mentre lavoravi ai Mercati generali. Da allora non avevi più smesso e, una volta in pensione, ti eri “erudito mejo”, dedicandole ancora più tempo.
Parlavi, parlavi, parlavi … e recitavi le tue poesie, che ricordavi tutte a memoria. Poi raccontavi tutto quello che avevi combinato nella vita, insieme a tutto ciò che avresti ancora voluto fare: i tuoi progetti, l’idea di scrivere l’ “autobiografia” del tuo cane Erik e tanto altro. Anche se un po’ di paura del fututo ce l’avevi e ti commuovevi da solo al pensiero che a un certo punto questa vita dovesse finire. Per questo avevi scritto “Volto di nonno”, perché quella fine un po’ la sentivi arrivare. Ma intanto la vita te la godevi, gli amici, i parenti, la tua Garbatella. Quel posto un po’ magico dove eri approdato, mi dicevi, dopo la fatidica notte del bombardamento di San Lorenzo, dove vivevi, nel luglio del ’43.
“Apro il rubinetto – mi spiegavi – e le parole mi scorrono. Se a volte mi blocco e non scrivo per un po’ di tempo è perché non vedo la luce”. La luce che volevi vedere era quella di una pubblicazione che racchiudesse tutte le tue poesie. E chissà che tra poco tu non possa vederla. Sicuramente ti canterebbe De Gregori. Ora già vedi tutto più chiaro che qui.
Ti è sempre piaciuto vedere e cantare le cose belle, ma la tua sensibilità ti faceva vedere anche quelle brutte. Mi avevi fatto notare un egoismo nuovo, che non ti piaceva. “Prendi la questione degli extracomunitari”, mi avevi detto. “Non eravamo pure noi extracomunitari quando smucinavamo nella monnezza?”.
Era il tuo modo di fare politica, anche se dicevi che la politica non ti interessava. Ti interessavano le cose, le persone. Ti affezionavi e facevi affezionare. E per restare in contatto ti eri tenuto al passo coi tempi, dilettandoci coi tuoi sms in rima. Ricordo i tuoi auguri: “Felice Natale a te e famiglia. Fatti sentire, un accidenti che ti piglia!”. E ricordo la promessa di vederci dopo Pasqua, perché avevi un regalo da darmi. Non abbiamo mantenuto la promessa: io non ti ho ancora chiamato e tu te ne sei già andato. Quando toccò ad Alberto Sordi scrivesti che per lui, “donatore e portatore del sorriso/c’è un solo posto, il Paradiso”. Potremmo dire lo stesso per te, ringraziandoti per tutto quello che ci hai dato e per questa poesia che una volta ci hai dedicato:
Carolina Zincone
“Cara Garbatella,
quel giornalino tanto caro”
Era ora, finalmente,
che a qualcuno gli venisse in mente.
Di creare un giornale di quartiere,
pieno delle sue e nostre storie,
storie un po’ tristi,
colorate, vere.
In queste storie, tutti ci rivediamo,
di come era, di come eravamo;
storie che ai nostri figli tramandiamo.
Storie ormai passate, ma non dimenticate,
progetti di un futuro sempre migliore,
sempre più bello, più sicuro.
Oggi sfogliando avidamente
questo (piccolo) grande giornalino
quante cose mi tornano in mente.
Mi portano indietro, risentir bambino.
Accanto a tanti amici, che non ci sono più.
Pazienza, Cara Garbatella, adesso ci sei tu.
Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 9 – Novembre 2012