Nella chiesa parrocchiale della Circonvallazione Ostiense
L’antico altare di Santa Galla un gioiello di epoca romana
di Cosmo Barbato
Quindici anni fa, dopo il suo recupero, gli fu dedicato un convegno di studi ad alto livello
La Garbatella somiglia a un meraviglioso scrigno che custodisce tanti splendidi gioielli. Tra questi c’è un’autentica perla, un monumento che non è originario del quartiere ma che ha acquisito ad honorem pieno diritto di cittadinanza. Ci riferiamo al magnifico altare della chiesa di Santa Galla alla Circonvallazione Ostiense, rielaborazione di un cippo sepolcrale romano di fine 1° secolo d.C. di marmo greco finemente scolpito. Ricorrono in questi giorni 15 anni da quando illustri archeologi e storici si riunirono nel Teatro in Portico, sottostante alla chiesa, in un convegno di studi dedicato al nostro altare, già appartenuto all’antica chiesa di Santa Galla, che si trovava alle pendici del Campidoglio, dove adesso c’è l’Anagrafe, e che fu demolita nel 1935 nel corso degli sventramenti operati dal fascismo.
La nuova chiesa di Santa Galla, inaugurata nel 1940, aveva ereditato quell’antichissimo titolo, ma non il suo altare, …..
Nella chiesa parrocchiale della Circonvallazione Ostiense
L’antico altare di Santa Galla un gioiello di epoca romana
di Cosmo Barbato
Quindici anni fa, dopo il suo recupero, gli fu dedicato un convegno di studi ad alto livello
La Garbatella somiglia a un meraviglioso scrigno che custodisce tanti splendidi gioielli. Tra questi c’è un’autentica perla, un monumento che non è originario del quartiere ma che ha acquisito ad honorem pieno diritto di cittadinanza. Ci riferiamo al magnifico altare della chiesa di Santa Galla alla Circonvallazione Ostiense, rielaborazione di un cippo sepolcrale romano di fine 1° secolo d.C. di marmo greco finemente scolpito. Ricorrono in questi giorni 15 anni da quando illustri archeologi e storici si riunirono nel Teatro in Portico, sottostante alla chiesa, in un convegno di studi dedicato al nostro altare, già appartenuto all’antica chiesa di Santa Galla, che si trovava alle pendici del Campidoglio, dove adesso c’è l’Anagrafe, e che fu demolita nel 1935 nel corso degli sventramenti operati dal fascismo.
La nuova chiesa di Santa Galla, inaugurata nel 1940, aveva ereditato quell’antichissimo titolo, ma non il suo altare, che era finito malamente ricoverato nella chiesa di San Giorgio in Velabro, addirittura con la faccia recante le sculture più belle addossata a un muro. Il merito del recupero, del restauro e della valorizzazione del prezioso marmo fu di don Franco Amatori, parroco di Santa Galla dal 1984, un figlio della Garbatella, nato 71 anni fa al lotto 26 di Via Roberto de Nobili, appassionatamente legato al quartiere, che gli ricambia stima e affetto per la sua costante azione pastorale ma anche per aver dotato la chiesa di quel prezioso marmo, oltre che di un organo addirittura strepitoso, uno strumento di ben 5000 canne, uno dei più grandi esistenti in Italia.
Ma torniamo al nostro altare. Santa Galla è una figura quasi leggendaria risalente addirittura al sesto secolo, una nobile che, rimasta vedova giovanissima, abbracciò la vita religiosa dedicandosi all’assistenza ai poveri. Avrebbe trasformato la sua casa in una chiesa dedicata alla Vergine e in un ospizio per ammalati e indigenti. La storia documentata della chiesa prende inizio però solo nel 1073, sotto il pontificato di un papa importante, Gregorio VII. L’8 luglio di quell’anno venne consacrato l’altare, nel quale furono riposte una quantità di reliquie elencate nell’epigrafe dedicatoria, che nel tempo sono andate disperse. Nel Medioevo la chiesa fu importante diaconia con titolo cardinalizio. Nel 1198, richiamandosi alla tradizione assistenziale della santa, vi fu annesso un primo ospedale per infermi. Ricostruita nella seconda metà del 1500, ospitava un’immagine ritenuta miracolosa, uno smalto su rame dell’XI secolo raffigurante la Vergine col Bambino benedicente: questa icona venne trasferita nella vicina chiesa di Santa Maria in Campitelli, costruita appositamente per voto del popolo romano dopo la peste del 1656. Nella seconda metà del ‘600 l’architetto Mattia de’ Rossi ricostruì la chiesa e l’ospizio di Santa Galla, che accolse prevalentemente i vecchi, sicché da allora a Roma dire santagalla è come dire vecchio. Poi nel 1935 il piccone rase al suolo chiesa e ospizio.
Fino a quella data il nostro altare era rimasto al suo posto. Probabilmente il suo successivo ricovero a San Giorgio in Velabro doveva avere carattere di emergenza. Certo è però che il suo recupero non fu facile. Ci volle molta costanza da parte dell’attuale parroco per rimuovere una sorta di diritto di usucapione che veniva accampato da chi lo aveva ricoverato per tanti anni. Nel 1988 l’altare finalmente tornò nel titolo storico di Santa Galla, ereditato dalla nuova chiesa della Garbatella. Poi, nel 1990, a cura dell’Accademia cardinal Bessarione, con l’intervento del cardinale vicario Poletti, si svolse il convegno di studi che abbiamo ricordato.
Da dove provenga il cippo funerario romano non è stato possibile stabilire. Il suo riutilizzo rientrava in quel clima di recupero dell’antico che caratterizzò un certo periodo del Medioevo. In particolare, altri cippi più o meno analoghi a quello di Santa Galla furono adattati ad altari. Il nostro è certamente tra i più belli. Si tratta di un parallelepipedo di finissimo marmo di circa un metro di lato, pesante 21 quintali. Non si sa a chi fosse dedicata quell’ara sepolcrale perché l’epigrafe originaria era stata scalpellata e sostituita con la dedicazione gregoriana. Risulta praticamente intatto invece l’ornamento artistico costituito, su tre facciate, da una finissima cornice con motivi vegetali intercalati con figurine animali. La quarta facciata, quella posteriore, la più bella, è interamente occupata dalla raffigurazione di un fronzuto albero di lauro, alla cui base e tra i rami si annida un folto e variato bestiario.
In occasione del convegno di quindici anni fa venne presentato anche il restauro, tenacemente voluto da don Franco Amatori, della grande tela seicentesca anonima, proveniente anch’essa dall’antica chiesa, rappresentante la leggenda di Galla e del pontefice Giovanni I che ricevono dalla Vergine la miracolosa immagine oggi venerata in Santa Maria in Campitelli. Quella pala d’altare fu fortunosamente recuperata dal primo parroco della nuova Santa Galla, don Teocle Bianchi, un prete che ha lasciato di sé un grande ricordo, iniziatore alla Garbatella, a partire dalle drammatiche vicende dalla guerra, di una tradizione di forte legame popolare che perdura ai giorni nostri.
Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 2 – Aprile 2005