Colloquio con CosmoBarbato giornalista e prezioso collaboratore del nostro giornale

Colloquio con CosmoBarbato giornalista e prezioso collaboratore del nostro giornale

Una vita, una storia

di Pasquale Navarra

Sabato 5 giugno un’intera pagina de “Il Manifesto”, a firma di Gabriele Di Giuseppe, è stata dedicata a “Cosmo”, cioè a Cosmo Barbato, il quale è, per noi di Cara Garbatella, un vero punto di riferimento, una luce discreta e calda sempre presente nel nostro lavoro, nelle nostre mani. Nell’articolo-intervista de “Il Manifesto” è stato raccontato molto della sua vita, dedicata al giornalismo e alla militanza politica.
Debbo dire che buona parte delle cose riportate sull’autorevole quotidiano a noi più giovani non le aveva ancora raccontate. Ma in un certo senso le sapevamo lo stesso. Le brevi narrazioni che ci ha spesso fatto, durante qualche intervallo delle nostre riunioni o nel corso di semplici conversazioni, sono sempre state, per noi, delle conferme della sua bella, veramente bella personalità. Non si pensi che ci sia dell’adulazione in queste parole (cosa che, fra l’altro, Cosmo mi perdonerebbe difficilmente…), ma si pensi, piuttosto, alla stima spontanea e forte che in tutta la vita si prova per ben poche persone. …..

Colloquio con CosmoBarbato giornalista e prezioso collaboratore del nostro giornale

Una vita, una storia

di Pasquale Navarra

Sabato 5 giugno un’intera pagina de “Il Manifesto”, a firma di Gabriele Di Giuseppe, è stata dedicata a “Cosmo”, cioè a Cosmo Barbato, il quale è, per noi di Cara Garbatella, un vero punto di riferimento, una luce discreta e calda sempre presente nel nostro lavoro, nelle nostre mani. Nell’articolo-intervista de “Il Manifesto” è stato raccontato molto della sua vita, dedicata al giornalismo e alla militanza politica.
Debbo dire che buona parte delle cose riportate sull’autorevole quotidiano a noi più giovani non le aveva ancora raccontate. Ma in un certo senso le sapevamo lo stesso.
Le brevi narrazioni che ci ha spesso fatto, durante qualche intervallo delle nostre riunioni o nel corso di semplici conversazioni, sono sempre state, per noi, delle conferme della sua bella, veramente bella personalità. Non si pensi che ci sia dell’adulazione in queste parole (cosa che, fra l’altro, Cosmo mi perdonerebbe difficilmente…), ma si pensi, piuttosto, alla stima spontanea e forte che in tutta la vita si prova per ben poche persone.
Confermo una considerazione fatta dall’articolista de “Il Manifesto”: Cosmo è un uomo d’altri tempi. Nel senso più sublime del termine. Si racconta anche con me, per Cara Garbatella. Comincia a parlarmi di quando aveva tredici anni, del 1943, della guerra.
Il 10 settembre di quell’anno, due giorni dopo l’armistizio, era a Cassino, il paese della sua famiglia, che quel giorno subì un durissimo bombardamento da parte degli alleati. Fu quello il primo degli infiniti altri che nei successivi otto mesi non lasciarono di quella città pietra su pietra. Una bomba piombò anche sulla scuola, dove si trovava sua sorella di dieci anni: la bambina restò per alcune ore sotto le macerie.
“Per la prima volta la guerra fu sulla mia pelle”, mi dice Cosmo. “Il sibilo delle bombe ed il fragore che seguiva… Beh, poi, nello stesso giorno, con la mia famiglia scappai via da Cassino. Ci spostammo verso le montagne della chiostra che circonda la valle del Liri. Prima sosta nel paese di Sant’Elia, dove trovammo un alloggio di fortuna. Qualche giorno dopo ci spostammo più in alto, a Valvori, dove qualche tempo dopo si installò il comando del generale tedesco Kesselring. A metà gennaio del ’44 forzosamente ci sfollarono a Ferentino, dove ci fermammo una decina di giorni…”. Con loro, c’era anche una zia di Cosmo (sorella del padre) e le sue quattro figlie. La donna, nel trambusto dello sfollamento, era caduta, fratturandosi un femore: la trasportavano, senza ingessatura , seduta su una sedia…
A Ferentino, Cosmo e i suoi, rifugiatisi in una casa bombardata, stavano per vedersela brutta. A suo padre, un avvocato da sempre antifascista, il fascismo aveva già avuto modo di fargliela pagare, impedendogli di fatto la frequentazione del palazzo di giustizia di Cassino, il che equivalse a metterlo alla fame. Paradossalmente, fu la guerra ad alleviare le difficoltà economiche della famiglia, dando uno stipendio fisso al padre: questi, che era stato ufficiale nella guerra precedente, fu infatti richiamato come maggiore di complemento e fu assegnato al distretto militare della vicina Frosinone. A Ferentino, accadde che un fascista lo riconobbe e commise l’infamia di denunciarlo, come antifascista e disertore, ai tedeschi, i quali non fecero certo finta di niente: una sera andarono nel diroccato alloggio dei Barbato con l’intenzione di deportare tutti i componenti della famiglia. Ma lì accadde l’insperato: le donne si gettarono ai piedi dei soldati, supplicando: come trasportare quella zia col femore rotto? I tedeschi, prima sembrò che volessero abbattere la donna invalida, poi, volendo forse cedere ad un momento di umanità, dissero che sarebbero tornati la mattina dopo con un camion. Nemmeno mezz’ora dopo, Cosmo e tutti i suoi familiari, malgrado il coprifuoco, erano già su un carretto sulla strada per Alatri.
Qui, in un primo momento il loro “tetto” fu ancora una casa lesionata, ma poi un amico del padre di Cosmo, l’avvocato Rossoni, volle ospitarli tutti nella sua grande dimora. I guai, però, erano sempre in agguato. Un giorno il padre di Cosmo incappò in una retata: cercavano uomini per i lavori al fronte. Inevitabilmente avrebbero scoperto che era un militare “disertore”. Stavolta fu un ufficiale collaborazionista suo ex collega a salvarlo (il distretto di Frosinone, bombardato, s’era trasferito proprio ad Alatri): si presentò ai tedeschi garantendo: il signore è un ufficiale dell’esercito repubblicano, ha lasciato i documenti nella divisa. Pochissimi giorni dopo, nuovo imprevisto: la casa dell’avvocato Rossoni fece gola ai tedeschi, che la occuparono per alloggiarvi i loro ufficiali. I Barbato ripararono allora nella casa-bottega di un sarto dal cognome Bruxelles, che si offrì di ospitarli. Dice di lui Cosmo, con un sorriso ancora intriso di gratitudine: “Era italianissimo, di Alatri, ma il suo cognome era proprio questo che ti ho detto: Bruxelles… quanta generosità in quell’uomo…”. Bruxelles e sua moglie si adattarono a dormire nello scantinato, mentre cedettero a Cosmo ed ai suoi il loro lettone nel retrobottega.
All’inizio della primavera i Barbato sono a Roma, grazie ad uno zio che rimedia loro “due stanze in una casa di sei”, a Via Giuseppe Ferrari, vicino a Piazza Mazzini.
“Quella fu senz’altro la mia primavera più dura…”, mormora Cosmo. Furono, infatti, mesi di vera fame. La sua famiglia non disponeva nemmeno delle tessere alimentari. Cosmo e sua sorella andarono spesso a mangiare una minestra nella parrocchia “Regina Apostolorum”, ad un passo da casa. Il cibo che la famiglia riusciva a rimediare era sempre insufficiente. Il cuore di Cosmo non può che stringersi, quando mi racconta del gesto di sua madre: per far sì che figli mangiassero qualcosa ogni giorno, lei, per tre mesi, restò quasi digiuna. Mentiva dicendo che mangiava durante la mattinata e che le era sufficiente; in realtà non mangiò affatto. Perse quindi venti chili, incorrendo in un gravissimo deperimento: “Era così debilitata che, quando suonava l’allarme, non era nemmeno in grado correre al rifugio e io mi tormentavo tra il desiderio di restare a confortarla e la voglia di scappare a rifugiarmi”.
“Un giorno, nella mia ingenuità di adolescente, pensai che una cosa del genere non sarebbe più dovuta accadere a nessuno, in nessuna parte del mondo… ma si trattava, appunto, di un pensiero ingenuo, purtroppo…”, mormora ancora Cosmo.
Cosmo BarbatoIl giorno dell’arrivo delle truppe alleate a Roma, il quattro giugno, Cosmo con altri ragazzi scappa a Viale Mazzini, alla chiesa di Cristo Re, a suonare a stormo le campane. I suoi, nel trambusto della liberazione, non sanno dove sia e lo cercano disperati. Dopo quel giorno, il ricordo che in Cosmo emerge più forte è quello del 1° maggio 1945, quando con suo padre andò a Piazza del Popolo, al comizio di Di Vittorio, l’allora segretario della Cgil. Il padre tenne il figlio per mano, quasi tutto il tempo; Cosmo sente ancora la sua stretta. Si commuove non poco, nel raccontare quei momenti.
Il mio sforzo professionale di non manifestare la mia parte di commozione, riesce. Passiamo dunque al racconto del giorno dell’attentato a Palmiro Togliatti, il 14 luglio del 1948.
“Ero studente al liceo Mamiani ed era tempo di maturità”, racconta Cosmo. “Vidi dapprima un gruppo di netturbini che, in preda ad una visibile concitazione, smisero di lavorare e andarono via tutti insieme coi loro carretti. Poco dopo, fatti scendere i passeggeri, una fila continua di tram si avviarono verso il deposito di Piazza Bainsizza. Pensai si trattasse di uno sciopero. Rientrai in casa e trovai nell’ingresso mia madre e mia sorella piangenti: pensai a una disgrazia a mio padre! No, disse mia madre, la radio ha annunciato che hanno ammazzato Togliatti. Si seppe poi che era gravissimo e che stava combattendo tra la vita e la morte.”
Seguirono tre giornate incredibili e indimenticabili.
Il 15, Sandro Pertini e Luigi Longo tennero un comizio a piazza Esedra. Comizio che terminò prima del previsto, poiché ad un certo punto l’intesa tra oratori e popolo si manifestò nel modo più naturale: tutti si avviarono verso il Policlinico, dove Togliatti era sotto i ferri del prof. Valdoni. Duecentomila persone percorsero in assoluto silenzio quei chilometri. A quel tempo i marciapiedi di Viale del Policlinico non avevano asfalto: il rumore della ghiaia calpestata dai loro passi fu l’impressionante sottofondo di quella marcia. La folla restò per ore davanti all’ospedale, sempre mantenendo il silenzio.
“Non tutti lo ricordano”, aggiunge Cosmo, “ma ci furono anche dei morti, in quei giorni, nel corso degli scontri con la polizia di Scelba. A Piazza Colonna spararono anche ad un compagno che conoscevo, si chiamava Glionna; era appena trentenne…”
. Nel ’49, la famiglia Barbato viene ad abitare alla Garbatella, grazie all’assegnazione di una casa Icp. Con la povertà, peraltro diffusissima nel quartiere, i Barbato ebbero ancora a che fare, per qualche anno. Cosmo, pur iscritto all’università, frequentò un corso per muratori. Nel 1950 era iscritto al Partito Comunista già da quattro anni. Alla fine dell’estate, arrivò la sua occasione, che ci possiamo raffigurare in una giornata di pioggia torrenziale. In un giorno di settembre di quell’anno, Cosmo andò alla sezione comunista di Casalbertone, per dare una mano ai compagni impegnati in una Festa de l’Unità all’aperto. Ma nel primo pomeriggio iniziò a piovere a dirotto e quindi Cosmo e gli altri, nell’attesa che il tempo migliorasse, non poterono che ripararsi all’interno della sezione. Qui si trovava anche Franco Funghi, il redattore capo di “Vie Nuove”, settimanale fondato da Luigi Longo.
“Inizialmente, lui ed io prendemmo a parlare del più e del meno, per ammazzare il tempo che la pioggia ci faceva passare là dentro”, ricorda Cosmo. “Ma dato che non voleva proprio smetterla di piovere, parlammo per ore di politica, così io ebbi anche il modo di dichiarargli i miei interessi e le mie attitudini. Qualche mese dopo, capii che gli avevo fatto una buona impressione…”.
Nel dicembre di quello stesso anno, infatti, a Cosmo, militante della sezione Pci della Garbatella, viene chiesto di andare a Via De Pretis, alla redazione di “Vie Nuove”, per recapitare un comunicato riguardante un’attività culturale della sezione. “Vi andai, e quando mi qualificai dicendo anche il mio cognome, la segretaria di redazione, Giuliana Ferri, mi chiese, dividendo il suo sguardo fra me ed un appunto che trovò quasi subito sulla sua scrivania: ‘Barbato? Cosmo Barbato?’. Alla mia risposta affermativa, lei replicò: ‘Ah, finalmente! Sai, ti cercavamo da tempo. Abbiamo bisogno di un praticante, qui al giornale, e il redattore capo ha pensato a te. Non siamo però riusciti a rintracciarti, fino ad oggi…’. Fu così che cominciò il mio praticantato”. Tre anni dopo Cosmo divenne lui il segretario di redazione di “Vie Nuove”. Alla vigilia di Natale del ’54, l’incontro di Cosmo con Gabriella Tosi, la donna della sua vita, laureata in Matematica e Fisica, assistente alla Sapienza e poi insegnante in una scuola media; i suoi fratelli e il padre erano stati partigiani, con le Brigate Garibaldi, al Nord, a Riva del Garda. Cosmo la conobbe sempre alla Garbatella, a Piazza Oderico da Pordenone, in casa del futuro direttore d’orchestra Massimo Pradella. Fu praticamente un colpo di fulmine; si piacquero subito ed il giorno dopo si diedero il primo, intenso bacio. Si sposarono otto anni dopo, ma le loro vite erano state unite dal primo momento, quella sera di Natale. Ancora oggi, quando li vediamo insieme, pensiamo che sono una bella coppia.
Nel ’66, nacque il loro figlio Guido, nel quale è evidente la trasmissione di valori compiuta dalla famiglia.
Nel 1969, Cosmo è assunto a “Paese Sera” dove gli vengono presto assegnati compiti di responsabilità, dalle pagine speciali agli interni, poi la segreteria di redazione.
Quando gli chiedo quali sono i momenti, i periodi della sua lunga esperienza a “Paese Sera” che ricorda con maggiore emozione, Cosmo si sofferma sul pomeriggio del 13 maggio del 1974, ai primi risultati del referendum sul divorzio. I ricordi di Cosmo sono più nitidi che mai: una folla esultante aveva raggiunto Via dei Taurini, per proseguire i festeggiamenti sotto la sede del giornale, che si era impegnato molto nella campagna per il “No” all’abrogazione del divorzio. “Ci affacciammo tutti alla terrazza. Pochi minuti dopo, redattori e tipografi accolsero l’invito della gente, erano tutti in strada a festeggiare la vittoria. Io restai dentro. Come segretario di redazione dovevo organizzare le postazioni per l’elaborazione dei dati. Volevamo uscire in straordinaria, ma come fare se la redazione s’era svuotata! Faticai sette camicie per riportare i redattori ai lori tavoli. Quando vidi che il lavoro partiva e che la straordinaria era salva, mi rinchiusi nella mia stanza e sfogai in un pianto la mia gioia e la tensione accumulata. Piangere è davvero dolce, in certe occasioni…”. L’Italia viveva, in quei giorni, un cambiamento che non era fittizio: qualcosa di profondo era avvenuto, nella società.
L’indimenticata vignetta di Forattini, che fu pubblicata il 14 maggio, era emblematica: una bottiglia di champagne stappata, ed il “tappo” che volava via era Fanfani, il promotore del referendum abrogativo, il principale artefice della campagna contro il divorzio. Un altro momento importante della vita professionale e politica di Cosmo è certamente il giugno del ’76, quando alle elezioni il Partito Comunista raggiunse il 34% dei consensi. A tale proposito, chiedo a Cosmo se non fu un errore la teorizzazione del compromesso storico con la Democrazia Cristiana. Lui mi fa un amabile rimbrotto, poi mi dice: “No, fu giusto, perché Berlinguer comprese che questo paese non può essere governato contrapponendosi ai cattolici. Lo aveva capito già Togliatti, quando nella stesura della Costituzione si batté per l’inclusione dell’articolo 7, che di fatto mantenne il Concordato dei Patti Lateranensi. Questa fu una grande intuizione di Togliatti, poiché in cambio di tale compromesso – che peraltro evitò una deleteria spaccatura nella società italiana – si ottenne di portare a compimento la Costituzione, che è una delle più avanzate al mondo. E’ sbagliato credere che si sia sacrificata la laicità dello Stato, che è e deve restare un obiettivo della Sinistra e che non è comunque in contrasto con le lungimiranti azioni politiche che ho ricordato”.
La conversazione con Cosmo si conclude con il 1991, l’anno della “Bolognina”, della svolta, del cambiamento del nome, da Partito Comunista Italiano a Partito Democratico della Sinistra. “Certo, fu una svolta importante, come tutti sanno. Io, come sa chi mi conosce da tempo, non la condivisi, ma… ma non è ora di prendere un caffè? Non dirmi che non ti va…”.
Sì che mi va. Prendendo il caffè, diamo spazio al nostro più o meno. E’ una bella giornata, un’arietta fresca ha accompagnato questa conversazione, svoltasi alla Villetta. Ringrazio Cosmo per avermi reso partecipe, per l’ennesima volta, della sua grande serietà politica ed umana. E mi piace avere l’occasione di aggiungere che egli è, per tutti noi di Cara Garbatella, non solo una certezza, ma anche un vero buon maestro.

 

Copyright tutti i diritti riservati – Cara Garbatella Anno 1 – Luglio 2004

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail